dimarts, 9 de maig del 2023

PRELIMINARI, La Crusca Provenzale

PRELIMINARI

La Crusca Provenzale di Antonio Bastero

Circa la natura, e qualità delle Lettere dell' Abbiccì Toscano, e Provenzale; e circa l' amistà, e convenienza tra di loro.

A. Prima lettera dell' alfabeto, perchè più agevolmente s' esprime, e però udiamo ne' fanciulli mandar prima fuori naturalmente questa, che niuna altra, come quella, che non ricerca fatica. Appo i Latini dicono, che aveva più di dieci suoni diversi; appo i Toscani se ne sente difficilmente più d' uno, se però la diversità dell' accoppiatura delle parole non facesse alcuna volta profferirla con molta forza, come A lui, alcuna con meno come A' miei, alcuna volta quasi due AA. Ah ribaldo.

Questa prima lettera non ha parimente nel nostro Provenzal Idioma, che un solo suono, il quale però, stando ella di per se, allorchè è o segnacaso o proposizione, o interjezione, si fa sentir alquanto più forte, come A lui; A mi; o come le due a. a., che si vedono nel fine di ciascheduna strofe del seguente Poema di Giuffredo Rudello Principe di Blaja, che ho voluto quì in fronte trascrivere dal Codice Vaticano segnato num. 3205., e tradurre in Toscano, per esser egli il primo, e più antico Poeta Provenzale, di cui s' abbia notizia.


IOFRE RODEL. 


Non sap cantar qil son no di 

Nil vers trobar qils motz no fa 

Ni sap de rima com si va 

Si rason non enten en si

Pero mon can comens aissi 

Cõ plus lausires mais valra. a. a. 

Ja nulls nos meravilh de mi 

Sieu am zo qeu non veirai ia 

Qar nulla res tan mal nõ fa 

Cõ zo gez anc dels hueilhs non vi 

Anc mais nul temps no mimenti 

Ni no sai si ia so fara. a. a. 

Anc tan suau no madurmi 

Qe mos esperitz no fos la 

On la bella si dorm e ia 

Mei dezir fan lai lur cami 

Mei suspir son sei altresi 

Delamor no sai com penra. a. a. 

Bons es lo sons sieu nõ menti 

E tot qant i a bon iesta

E cel qi de mi lapenra 

Gard si nõ mueva ni camgi 

Qar si lauzon en caerzi

Lo coms de tolsa lentendra. a. a. 


GIUFFREDO RUDELLO.


Non sa cantar chi ' l suono non intona,

Nè il Verso trovar, chi non fa i motti,

Nè di rima non sa che cosa sia,

Se di essa non intende la ragione;

Però mio Canto comincio così, 

Che più lo sentirete, più varrà. a. a. 

Già nessuno di me si maravigli

Se io amo ciò, ch' io non vedrò già, 

Perchè niuna cosa mi fa sì male, 

Come ciò, ch' io non vidi mai cogli occhi;

Non mi mentì giammai in tempo alcuno,

E non so se già ciò farà. a. a. 

Non m' addormentai mai così soave,

Che mio spirto non si trovasse là

Ove dorme la bella, e già

Miei desir fanno là il lor viaggio; 

Miei sospir sono suoi; altresì, 

Non so come mio amor accoglierà. a. a.

Se io non m' ingannai, buono è il suono,

E tutto quanto vi è, bene ci stà; 

E quegli, che da me l' imparerà, 

Guardi di non muovere, nè cambiare; 

Poichè se' l sentono in Caorsa

Il Conte di Tolosa l' intendera. a. a.

B. Lettera assai simile al P, e all' V consonante, dicendosi molte voci coll' una, e coll' altra scambievolmente: come Serbare, e Servare: Nerbo, e Nervo: Boce, e Voce: Pubblico, e Piuvico. Delle consonanti riceve dopo di se nella medesima sillaba la L, e la R, e vi perde alquanto di suono, come Obbligo, Pubblico, Braccio, Ombra, benchè colla L, di rado si truovi appresso i Toscani, nè mai in principio di parola, come pronunzia a loro più strana, salvo alcune voci Latine, come Blando, Blandimento, ec. Consente avanti di se, in mezzo di parola, ma in diversa sillaba la L, M, R, S, come Albume, Lembo, Erba, Usbergo, quantunque si truovi di rado colla S, in mezzo della parola, e per lo più ne' verbi composti colla proposizione Dis, come Disbrigare. Usasi più frequentemente in principio di parola, come Sbandito, Sbattere. E deesi sempre la S, avanti al B, pronunziar col suon più sottile, o rimesso, come nella voce Accusa, di che si dice nella lettera S. Puossi raddoppiar nel mezzo della parola, quando egli occorre, come Nebbia, Trebbio.

Pure in Provenzale diciamo noi scambievolmente parecchie voci ora col B, e ora coll' V consonante, come serbar, e servar; nirbi, e nirvi; probar, e provar; proba, e prova; probanza, e provanza, ec. Negli antichi MSS. si trovano molti vocaboli indifferentemente scritti ora col B, ed ora col P; e ciò non solamente in fine di parola, come prop, e prob (vicino L propè) lob, e lop (lupo) gab, e gap (gabbo) e in mezzo, verbigrazia sebelir, e sepelir (sepellire) Tratt. Simb. Apost. 5. E fonc crucifficatz, e mortz, e sebellitz sotz Pons Pilat: e acapar, per acabar (finire) Guid. Cauliacc. 71. Acapat es lo segon Tractat a Deu gracias: ed altre molte, come tromba e trompa; arribar, e arripar (arrivare) ec. Ma eziandio sul principio, come planquet per blanquet (biacca, e bianchetto) Mon. Montau. nel Poema contra la vanità delle femmine del suo tempo, che per comparir belle adoperavano il liscio, dipingendosi 'l viso. C. V. 4. 123. 2.

De planquet, e de vermeillon

Se meton tant sobre l' menton,

Et en la faz, qe ec.

Di bianchetto, e di rossetto
Si mettono tanto sovra 'l mento,
E nella faccia, che &c.
Boble, e Poble (Popolo) adoperato l' uno, e l' altro per più vaghezza, da Fr. Jac. Casul. 18. Digau als vostres pobles, que mes ama Marchilli senyorejar los bobles rics, que si lo dit Marchilli se feva ric. E praguer, e braguer (brachiere) usati parimente tutti e due da Guid. Cauliacc. nella sua Opera di Cirugia, là dove parla dell' Ernia, a c. 68., e 69. Similmente gli antichi Toscani dissero brivilegio, brivilegiare, ec. per privilegio, privilegiare &c.

Delle consonanti riceve anche nel nostro Linguaggio dopo di se la L, e la R, perdendo pure alquanto di suono; e ciò non solo in mezzo della parola, come semblanza, coblejar (far cobbole) ombra, ombrejar; ma eziandio nel principio, come blau (turchino) blanc, bras, braga ec.
Ed appresso gli Scrittori Toscani del buon secolo, la trovo avanti la L, in principio di parola, non solamente nelle sopraccennate voci Latine Blando, Blandimento, ec. ma in alcune prette Provenzali, come Blasmare, Blasmo, Blondo, ec.

Consente pure avanti di se, ma sempre in mezzo di parola, e in diversa sillaba la L, M, R, S, come albre, fembra, erba, osberg. Sul principio però non ha mai avanti di se niuna delle consonanti, nè meno la S, dicendo noi, esbalmar (ciondolare) esbarriar (sparpagliare) esblanqueít (bianchiccio) esboscassar (abbozzare) esboscassament (abbozzamento), e così estar, esquivar, e esquifar; espès, esperar, esperit, e simili con l' aggiunta della E chiusa, o stretta, per più dolcezza. Ed indi anche gl' Italiani ad imitazione nostra, e per lo stesso motivo vi aggiungono spesse fiate la I, lettera sorella carnale dell' E stretto, dicendo istare, ischifare, impresso, ec. siccome osservò diligentemente il Bembo al primo delle sue Prose, colle seguenti parole: “Senzachè uso de' Provenzali peravventura sia stato lo aggiugnere (aggiungere) la I nel principio di moltissime voci, comechè essi la E vi ponessero in quella vece, lettera più acconcia alla lor Lingua in tal uficio, che alla Toscana; si come sono Istare, Ischifare, Ispesso, Istesso, e delle altre, che dalla S, a cui alcun' altra consonante stia dietro, cominciano, come fanno queste. Il che tuttavia non si fa sempre; ma fassi per lo più, quando la voce, che dinanzi a queste cotali voci stà, in consonante finisce; per ischifare in quella guisa l' asprezza, che ne uscirebbe, se ciò non si facesse; si come fuggì Dante, che disse,

Non isperate mai veder lo Cielo,
e il Petrarca, che disse,
Per iscoprirlo immaginando in parte.
E comechè il dire In Hispagna, paja dal Latino esser detto, egli non è così; perciocchè quando questa voce alcuna vocale dinanzi da se ha, Spagna, le più volte, e non Hispagna si dice &c.”

Sopra questa medesima lettera è degno di notare il luogo del Barberino Docum. Amor. fogl. 162.

L' erbette son tre lettere, che stanno

In quel, ch' è poco danno,

Se gli vien l' emme per esser la quarta;
Come chi bocca per se forza squarta:
ove è appellata Be, contuttochè i Fiorentini, e la maggior parte degli altri popoli della Toscana dicono Bi, Ci, Di, Gi, Pi, Ti, e non Be, Ce, De, Ge, Pe, Te; e sebbene questa seconda maniera, cioè Be, Ce, ec. è alla Latina, nientedimeno il Barberino, il quale molto si compiacque della Lingua Provenzale, come nota l' Ubaldini nella introduzione alla sua Tavola, o Vocabolario, ad imitazione di questa nostra Provenzale, e non di quella del Lazio, è da credere, che disse Be; il che accenna il medesimo Ubaldini, colla seguente osservazione: “L' Er be te son

tre lettere: cioè R. B. T. Di quì sentesi qual pronunzia usasse il nostro Autore, dicendosi oggi da' Fiorentini Abbiccì; dove il nostro direbbe Abbeccè: tale facevano i Latini Abecedarius presso Girolamo, Agostino, ed altri; de' Provenzali, Cadenet MS. del Signor Carlo di Tommasso Strozzi.”

Tres letras del Abece

Aprendes plus nous deman
A. M. T. car aitan
Volon dire com am te.
Lo stesso, dopo dell' Ubaldini, fu accennato, ed osservato da Carlo Dati appresso le Origini Italiane del Menagio alla lettera A, e ultimamente dall' eruditissimo Girolamo Gigli nel suo Apparato all' Opere di S. Caterina, alla lettera E, citando, e trascrivendo amendue, i suddetti versi del Cadenet.

Gli stessi versi Provenzali furono anche citati, e portati da Francesco Redi, del testo della libreria di S. Lorenzo di Firenze, nelle sue Annot. Bac. in Toscan. fogl. 117., benchè ad altro effetto, cioè per comprovare, che gli antichi Rimatori solevano talvolta scherzar colle lettere, accennando con esse, nelle cobbole, o stanze il loro nome, o altra cosa, che più loro fosse andata a grado. Ecco le sue parole nel citato fogl. 117. “Elia Cadenetto volle anche esso scherzar colle lettere, onde come si legge nel Testo a penna della Libreria di S. Lorenzo.”

Tres letras del a. b. c.
Aprendez plus non deman:

A. M. T. car aitan
Volon dire com am te.

Ma già che egli se ne prevalse per questo fine, poteva soggiungervi, e dar fuori gli altri versi che seguono, o vero tutta la strofe, la quale nel Testo Vaticano Cod. 3204. car. 99. si legge così.
Tres letras de labece

Aprendes plus nous deman
A. M. T. car aitan
Volon dire com am te
Car ab aitan de clersia
Auriam pro eu e vos
Mas per so ben i volria
O. e C. mantas sazos
Que si eus disia digatz
Domna farias majuda
Eu cre que vos seriatz
De dir Oc apersebuda.
cioè:
Tre lettre dell' Abbeccè
Apprendete, più non vi dimando,
A, Emme, Te, perchè altrettanto
Voglion dir come amo te:
E con altrettanta dottrina
Saremmo assai dotti io, e voi;
Ma per ciò ben ci vorrei
O, e C, mante fiate aggiugnere;
Che se io vi dicessi, dite
Donna, fareste mio ajuto?
Io credo, che voi sareste
Apparecchiata per dir di .
Questo scherzo poetico del Cadenet, per dirlo di passaggio, mi fa sovvenire de i ternari d' un Sonetto di Cecco Angelieri Sanese, contemporaneo di Dante, che incomincia:
Sel cor de Bichina fosse diamante, appresso la Raccolta de' Poeti antichi di Monsignor Leone Allacci, fogl. 204., ne' quali ternari osservo, che esso Angelieri furò dal nostro Cadenet simil concetto, ed invenzione, discorrendo egli così intorno alla sua innamorata Bichina.
Ma s ella un poco mi stesse audita
Et eo avesse lardire de parlare
Direy come so sua spene incarnita.
E po gli dirci com eo son sua vita,
Et altre cose cheo non vo contare,
Parme esser certo chella direbbe ita.
Ove le voci vita, e ita alludono alle lettere Greche B, e *, che così s' appellano, e quì la ita vale sì, usata parimente alla Latina, da Dant. Inf. 21.
De 'l nò, per li denar, vi si fa ita,
cioè per denari si fa del nò sì.
Non lascierò di notare, che nel Cod. Vatic. 3205. car. 95. si trova la suddetta stanza scritta diversamente, cioè:
Tres letras de l A. B. C.
Aprenez plus non deman
A. M. T. qar aitan
Volon dire qom am te
E ab aitan de clergia
Auria pro entre nos
Pero anc mais i volria
O. e C. mantas sazos
Qar sieu dizia digatz
Bona donna fas majuda
Adoncs sai qe seriatz
De dir Oc aperceubuda.
Ma in quanto alle lezioni, o vero alla diversità della scrittura delle lettere, cioè Abecè; e A. b. c. nulla v' è che dire appo noi, essendo amendue ugualmente buone, dicendosi constantemente in Provenzale Be, Ce, ec. Laonde non ci è stato d' uopo di mettere in dubbio, e di questioneggiare, come anno fatto i Gramatici Italiani, se i nomi del b, c, d, g, p, t, s' abbiano a pronunziare be, ce, de, ge, pe, te, come c' insegnano i Latini gramatici, o pur bi, ci, di, gi, pi, ti, come costumano gl' idioti, siccome propone il Salviati ne' suoi Avvertimenti volum. I. lib. 3. cap. I. particel. 2. E per ciò le lezioni d' alcune copie del Bocc. Gior. 6. nov. 5. Credo ec. che voi sapeste l' A, B, C, e gior. 8. nov. 9. Voi non apparaste miga l' A. B. C., pare, che non sieno riputate dal Buommattei al tratt. 3. cap. 5. così ottime, come quelle de i Testi de' Deputati del 1573., e del suddetto Salviati, che anno nominatamente l' a bi ci. Ma a così fatta questione di nome ha imposto silenzio il dottissimo Abate Anton Maria Salvini Lettore di lettere Greche nello Studio di Firenze, il quale nelle sue eruditissime Note sopra il detto Buommattei, al citato luogo, a car. 31. decide, e risolve, che Bi, Ci, Di, non è profferimento, o suono di quelle tali consonanti; perciocchè potrebbero dirsi anche Ba, Ca, Da; Bo, Co, Do; ma è il nome di quelle tali lettere, che dove in Firenze si nominano Bi, Ci, Di; in Arezzo, per esempio, che pure è in Toscana, si nominano alla latina Be, Ce, De; 
siccome nota il Sig. Francesco Redi nel Vocabolario suo Aretino manoscritto &c.

C.

C. Lettera, la quale ha molta simiglianza col G. Adoprasi da' Toscani per due sorte di suoni; perchè posta innanzi all' A, O, U, ha il suono più muto, o rotondo: come Capo, Conca, Cura; e avanti la E, ed I, si manda fuor più sonante, o aspirata: come Cera, Cibo. Onde per farle fare il primo suono, le pognamo la H dopo, come Cheto, Trabocchi. Questo CH, posto davanti all' I, ottiene due sorte di suoni, l' uno più rotondo: come Fianchi, Stecchi, Fiocchi; l' altro schiacciato, come Occhi, Orecchi, Chiave; quantunque appo i Poeti, cotali suoni non impediscan la rima. E per conoscere questa diversità di suono, sarebbe necessario assegnare a ciascheduno il suo proprio carattere. Non si pone il C avanti ad altre Consonanti, che alla L, e R, nella stessa sillaba, e perde alquanto del suo suono; ma alla L, più rado; come Conclusione, Clero: Crine, Increspato. Ammette avanti di se nel mezzo della parola, ma in diversa sillaba la L, N, R, S: come Calca, Ancora, Arco, Tosco; ma la S. gli va avanti, ancor nel principio; come Scudo, Schermo; e sempre si pronunzia la S innanzi al C, nel primo modo più comune, come nella voce Casa, di che vedi nella lettera S. Metessi il C avanti al Q, quando il Q si doverebbe raddoppiare, come Acqua, Acquisto; conciossiacosachè il Q non sia altro, che C. Nel mezzo di parola si raddoppia, quando bisogna: come Stecco, Bocca, Tocca.

Posto innanzi all' A, O, U, ha similmente nel Provenzale il suono ritondo, verbigrazia cap, conca, cura; ma avanti la E, ed I ha lo stesso suono della S gagliarda, come cera (Lat. Cera), cercar, cisterna, cigala; le quali voci pronunziamo come se fossero scritte per S, sera, sercar, sisterna, ec. Onde per fargli fare il primo suono gli poniamo la u vocale dopo, nel qual caso però adoperiamo la Q in sua vece, conciossiacosachè il Q, come accenna il Vocabolario, e si vederà a suo luogo, non sia altro, che 'l C muto, o rotondo; come nelle voci quetxo, quet, e quiet, che significano cheto; e que, qui ec. le quali profferiamo, come se fossero scritte, qet, qe, qi, che anche così senza la u si truovano sovente negli antichi testi manoscritti. Per fare poi nella nostra Lingua il suono delle sillabe Toscane Cià, Ce, Ci, Ciò, Ciù, vedi quel che si noterà nella Lettera X. Delle consonanti ammette dopo di se nella stessa sillaba, solamente la L, e la R, come conclusion, e conclusiò, crespat, encrespat. Consente poi avanti di se la N, R, S, e ciò sempre in diversa sillaba, fuorchè ne' monosillabi, come encara (ancóra) arcáda, escusa, anc (anco) hanc, arc, vesc: e parimente in questo nostro Idioma sempre si pronunzia la S innanzi al C nel primo modo, cioè gagliardo, di che vedi nella Lettera S.

I nostri antichi il raddoppiavano talvolta come peccat, proccurar, ma oggi diciamo, e scriviamo procurar ec. L' usiamo però raddoppiato avanti l' I, dove bisogna, come decocciò (Lat. decoctio, concoctio) e avanti l' A, come acceptar; avvegnachè in cotali voci il secondo c si pronunzi, come se fosse s, e per questo si scrive talora da alcuni decocsiò, acseptar. Per ragion della molta simiglianza, che ha col G, si trovano alquante voci scritte ne' Codici Provenzali della Vaticana coll' uno, e coll' altro scambievolmente, come cavalcar, e cavalgar; cavalcadura, e cavalgadura; borg, e borc (borgo), gonfanò, e confanò (gonfalone) e simili.

Egli è vero però per non lasciar cosa, che da considerar sia, che abbiamo ancora un' altro C, che è più sonante, e forte della S gagliarda, il quale contrassegniamo con questo carattere ç, chiamato da noi con molto acconcio nome C trancada, cioè a dire, C infranto, del quale ce ne serviamo, quando ci occorre, per far perdere il suono del C duro; imperciocchè siccome queste sillabe Ca, Co, Cu, anno il suono duro, all' incontro quest' altre ça, ço, çu l' anno infranto, cioè un poco più sonoro, e gagliardo delle sillabe Sa, So, Su, verbigrazia alabança (lode) convençut (convinto) ço (ciò) avvegnachè chè per lo più confondiamo questi caratteri, scrivendo començar, e comensar; assots, e açots, ec. Questo nostro ç infranto, per dirlo di passaggio passò da Catalogna nell' Aragona, ed indi poi in Castiglia, dove è appellato C con zedilla, ovvero zedilla, cioè piccola zeta, per ragione di quella codetta fatta a guisa d' una piccola zeta; e perchè nella Lingua Castigliana la Z, e il C chiaro, o sonante anno un medesimo suono, scrivendosi da' Castigliani indifferentemente zelar, e celar, e simili, perciò s' adopera nella stessa Lingua in cambio del Z, come çapata, e zapata; açogue, e azogue ec. che che ne dichino Massimo Trojano, e Argisto Giuffredi nelle loro osservazioni della suddetta Lingua Castigliana stampate in Firenze nel 1601. Onde Francesco Sobrino ne' prolegomeni del suo Dicionario nuevo de las lenguas Española, y Francesa, impresso in Brossella nel 1705. Les Espagnols écrivent l' V au lieu du B. Ils écrivent ainssi le ç au lieu du Z, e le Z au lieu du ç.

Nell' Abbiccì, che per tutta l' Italia adoperano i fanciulli quando incominciano d' apparar a leggere, detto in Roma la Santa Croce, per ragion della effigie della Santiss. † posta in fronte di esso; e in Firenze, la Croce Santa, anteponendo il sostantivo all' addiettivo; vi si vede pure questo carattere ç coll' altre solite abbreviature sul fine, così:
ç R* b.', e il chiamano Con. Ma gli Stampatori sbagliano usandolo così ç alla dritta; imperciocchè quando rappresenta il segno, o l' abbreviatura della sillaba con, si scrive sempre voltato in questo modo ɔ, come si vede ne' MSS., e ancora ne' libri di stampa antica: e questo ɔ è chiamato da noi girar de con, cioè a dire, che posto così ɔ girato, vale per la sillaba con. Tra i diversi caratteri, che il Trissino voleva aggiugnere al Toscano Alfabeto, uno si era questo nostro ç da lui appellato çeta, di che vedi appresso, alla Z.


D.


D. Lettera, che ha gran parentela colla T, e perciò molte voci latine, nel farsi nostrali, hanno mutato il T in D, come più dolce di suono: Latro, Ladro: Potestas, Podestà: Litus, Lido. Acconsente dopo di se solamente la R, oltre alle vocali, tanto in principio, quanto in mezzo della dizione, e nella stessa sillaba, con perdere alquanto di suono: come Drago, Salamandra. Riceve avanti di se, nel mezzo della parola, ma in diversa sillaba, la L, N, R, S: come Geldra, Bando, Verde, Disdicevole. Ma la S, avanti la D, si trova di rado in mezzo di parola, e quasi sempre ne' verbi composti dalla particella Dis: come Disdire. Nel principio si trova più spesso: come Sdegno, Sdentato; e deesi sempre profferire la S, avanti, nel secondo suono, e più rimesso, come nella voce Accusa, come si dice nella lettera S. Raddoppiasi nel mezzo, quando egli occorre: come Freddo, Addurre.

Così pure in alcune voci Latine nel farsi nostrali, è stato mutato il T, in D, per ragione dell' accennata parentela, come latro in ladre: latrare in ladrar: latrator in ladrador, lladraire. Dopo di se acconsente parimente nel nostro Provenzale la R, oltre alle vocali, perdendo alquanto di suono, come dragon, e dragò; salamandra: Avanti di se riceve similmente le suddette L, N, R, S, come falda, bandejar, verdura, desdir. Non la raddoppiamo però se non in qualche voce Latina, come addiciò, addicional.

I nostri vecchi la scambiarono spesso col Z, trovandosi ne' Testi antichi scritto indifferentemente veder, e vezer (vedere) medicar, e mezicar (medicare) tardar, e tarzar (tardare) ed altre somiglianti, come osservò diligentemente il Crescimbeni nelle sue eruditissime Annotazioni sopra le Vite de' Poeti Provenzali, particolarmente intorno quella di Guglielmo Adimaro, così: I Provenzali oltre all' antiporre la N a i nomi propri d' Uomini &c. spesso scambiavano la D nella Z. E in quella di Bertrando di Pedaro con queste parole: E' costui chiamato dal Nostradama Bertrand de Pezars, o de Pezenat; e perchè i Provenzali, come altrove abbiamo detto il D facevano Z, come veder, vezer; medecar, mezecar, e simili; però noi la voce Pezar, l' abbiamo tradotta Pedaro, siccome Pezenat, Pedenato: quantunque alle volte altre simili parole le abbiamo trasportate colla Z, che si legge nel Testo. E dopo di lui il Gigli Apparat. Oper. S. Cater. alla particella Et in questa guisa:
La Lingua Provenzale, Madre della nostra, cambiava spesso il Z col D. E di quì osservo, che i Toscani per imitare i Provenzali loro Maestri, anno detto, e adoperato scambievolmente, ardente, e arzente; frondire, e fronzire; fronduto, e fronzuto; gradire, e grazire; guadare, e guazare; verdura, e verzura; verdume, e verzume; rinverdire, e rinverzire; ed altre, come si osserva nel Vocabolario, quantunque in esso gli Accademici della Crusca non facciano menzione di simile cambiamento.

E.

E. Lettera vocale, e ha molta convenienza coll' I, prendendosi frequentemente l' una per l' altra: Desiderio, Disiderio: Peggiore, Piggiore. Appo i Toscani ha due suoni, l' uno più aperto: come Mensa, Remo; l' altro più chiuso, e più frequentato da noi: come Refe, Cena; onde per tor via gli errori richiederebbon vari caratteri, quantunque cotal suono, appo i Poeti non faccia noja alla rima.
Similmente nel nostro Idioma, per ragione dell' accennata convenienza, e amistà, che ella ha coll' I, anno usato scambievolmente i nostri antichi: ociosetatz, e ociositatz; enfern, e infern, come si legge, tra gli altri MSS. in quello del Tratt. Pecc. Mort., e sovent, e sovint (sovente) adoperato l' uno, e l' altro da Gio. Mart. 68., e così lealeza, e lialeza; leal, e lial &c. Ha ancora amistà, e convenienza coll' A, sì in Provenzale, che in Toscano, come osservò l' eruditissimo Francesco Redi nelle sue Annot. Ditir. a car. 64. colle seguenti parole:
“I nostri più antichi Scrittori Toscani, in cambio di elemento, dissero sovente alimento, cangiando la lettera e della prima sillaba in a, come è chiaro, per gl' infrascritti esempli &c. Dante da Majano nel primo de' suoi Sonetti stampati disse Alena in vece di Elena.

Alena greca co lo gran plagiere

Guittone d' Arezzo nelle Lettere manuscritte usò il verbo Aleggere in vece di Eleggere &c. Usollo ancora Gio. Villani, e tutt' e due i Malespini, ne' quali si truova Sanatore, Sanato, assempro, assemplo, con altre simili voci &c. La più bassa plebe di Firenze conserva alcune poche reliquie di tali arcaismi nelle parole abreo, arrore, dalfino, sagreto &c. Negli antichi Provenzali si truova spesso tale amistà, e parentela tra la lettera A, e la E. Nella Vita di Guidusel del Testo della Libreria di S. Lorenzo si legge Raina per Reina. Neza de Guillem de Monpeslier, cosina germana de la Raina d' Aragon. Giuffredi di Tolosa nella Serventese, ch' ei fece per amore d' Alisa Damigella di Valogne, disse molte volte piatat in vece di pietat.

A Madompna sens piatat
Nuec, e dia eu clam mercè.
Tralascio infiniti altri esempli e de' Toscani, e de' Provenzali”.

E così ancora in Provenzale ha gli stessi due suoni, che in Toscano; l' uno più aperto, o largo, come aver, saber: e l' altro più chiuso, o stretto, e da noi parimente più frequentato, come vermell (vermiglio) temps, ensems (insieme) conforme insegna, e dimostra il Rimario Provenzale MS. della suddetta Libreria di S. Lorenzo.


F.


F. Lettera, la quale, nel pronunziarsi, è assai simile all' V consonante, per essere amendue molto aspirate. Riceve dopo di se, nel mezzo della parola, *e nella stessa sillaba, le consonanti L, e R, e vi perde alquanto di suono, come Afflitto, Fresco; ma riceve la L molto più di rado, come suono alquanto malagevole alla nostra pronunzia. Ammette avanti di se la L, N, R, S, in mezzo della parola, e in diversa sillaba, come Alfiere, Enfiato, Forfora, Disfatto, ma la S se le pone avanti molto più frequentemente nel principio, conforme Sferza, Sforzo, e pronunziasi la S, avanti alla F, nel primo modo, e più comune, come nella voce Casa, conforme a quello, che si dirà nella lettera S. Nel mezzo delle dizioni si può raddoppiare, dove fa mestiere, come Effetto, Buffone.
Il suono della F è quasi lo stesso di quello dell' V consonante, per formarsi tutt' e due con una medesima percussione di strumenti, cioè battendo il labbro ne' denti, come osserva il Buommattei Tratt. 3. Cap. 8. Laonde ne' MSS. antichi si truovano questi due caratteri adoperati talora l' uno per l' altro, come venestra per fenestra nella seguente strofa d' un Poema di Pietro di Corbiacco in lode di nostra Donna Cod. Vat. 3204. a car. 137.
Dompna Verges pura, e fina

Anz que fos l' enfantamenz,
Et apres tot eissamenz,
De Vos trais sa carn humana
Jesu Crist nostre Salvaire,
Si com ses fractura faire
Vai, e ven rais que soleilla
Per la venestra verina.
Donna Vergine pura, e fina
Anzi che fosse il concepimento,
Ed appresso pur similmente,
Da Voi trasse sua Carne umana
Gesù Cristo nostro Salvatore,
Sì come senza far frattura
Va, e viene il raggio, che illumina,
Per la finestra invetriata.


E escalvar per escalfar in questo passo di Amerigo di Pingulano del medesimo Cod. Vat. a car. 40.


Altressì m' pren, com fai lo jogador,

Q' al comensar joga maestrament

A petit joc, puois s' escalva perdèn,

Que l' fai montar tan, qu' es en la follor.

Così m' avvien com fa lo giucatore,
Che giuoca al cominciar maestrevolmente,

Piccol giuoco; e in perdendo poi si scalda,

Che' l fa montar sì, che è una follia.
E così navrar per nafrar, onde Tosc. naverare, Franz. navrer; ed altre simili.

Nel nostro Linguaggio riceve ugualmente dopo di se, e nella stessa sillaba le consonanti L, e R, come flassada (coperta da letto) flaúta, e flauta (flauto) fresc, frescura. Avanti di se consente pure la L, N, R, S, in mezzo della dizione, e in diversa sillaba, come Alferis (Alfiere) alforja (bisaccia) inflar (gonfiare) forfar (forfare) desfar, e desfer (disfare) E si raddoppia dove occorre, come affermar, afficionat, effecte.



G.


G. Lettera compagna del C, la quale, anch' ella, ha due suoni diversi, perchè posta avanti all' A, O, U, ha il suono più rotondo. come Gallo, Gota, Gusto; e avanti all' E, ed I, ha il suono più sottile, o aspirato: come Gente, Giro; onde per necessità di proprio carattere, per servircene nel primo suono colla E, e coll' I, pogniamo dopo la H: come Gherone, Ghiro. Questo Gh, quando ne seguita l' I, ha anch' egli due suoni, l' uno più rotondo, e grosso: come Ghirlanda, Vegghi dal verbo Vedere; l' altro più sottile, e schiacciato, il quale, per lo più, avviene, quando all' I segue un' altra vocale, come Ghianda, Ghiera, Vegghia:
e a cotali suoni, per isfuggire errore, sarebbe di bisogno proprio carattere a ciascheduno. Delle consonanti riceve dopo di se, nella stessa sillaba la L, N, R; come Negletto, Gloria, Egli, Regno, Sogno, Disegnare, Ingrato, Gretola; bene è vero, che dopo la L, dove non seguita l' I, per esser suono, per sua durezza sfuggito da questa lingua, si truova di rado. Quando alla L, col G avanti seguita l' I, in tal caso ha due suoni, l' uno più rotondo, e grosso: come Negligente, il quale non è molto ricevuto da noi; l' altro più sottile, e schiacciato: come Giglio, Foglio, e questo è nostro proprio. Aggiunto, come s' è detto, il G alla L, e N, gran parte ne perde del suo suono, come Aglio, Ragna. Consente avanti di se la L, N, R, S, nel mezzo della parola, e in diversa sillaba: come Volgo, Vanga, Verga, Disgregare, benchè la S si truovi in mezzo di rado, e per lo più in composizione, colla preposizione Dis. Ma nel principio di parola, più frequentemente: come Sgarare; e si pronunzia sempre la S avanti al G, nel secondo modo, cioè nel suono più rimesso, come nella voce Accusa. Raddoppiasi questa lettera nelle nostre voci molto spesso: come Poggio, Oggi, ec.

Pure nel nostro Linguaggio ha ella due suoni diversi, poichè posta avanti alle vocali A, O, U, ha il suono muto, o rotondo, o come altri dice, aspro, come gall, gota, gust; e avanti all' E, ed I, l' ha chiaro, e dolce, come gent, giro: onde per necessità di proprio carattere, per servircene nel primo suono colla E, e coll' I, pogniamo dopo, la U vocale, come nelle voci guerra, guirlanda, le quali si pronunziano, cioè la prima, come se fosse scritta in Toscano gherra, e l' altra del modo, che la scrivono, e la pronunziano gli stessi Toscani, cioè ghirlanda; imperciocchè le nostre sillabe gue, gui, corrispondono per l' appunto, nel valore, e suono delle Toscane ghe, ghi. Posta in fine di parola dopo delle vocali E, I, U, o del T, ha doppio suono, cioè parte aspro, e parte soave, come goig, e gaug (gioja, e anche gaggia) desig, e desitg (desio) ensaig, e ensatg (assaggio) le quali parole si pronunziano, come se fossero scritte gotx, desitx, ensatx.

Delle consonanti riceve dopo di se nella stessa sillaba, quelle medesime, che in Toscano, cioè la L, N, R, come negligent, gloria, gnau (voce della gatta) gnerro (nome di fazione) ingrat. E aggiunta alla N, gran parte le fa perdere del suo suono, di che vedi nella lettera N. Il nostro gl però, sempre ritiene il medesimo suono, che nelle suddette voci gloria, negligent: Bene è vero, che abbiamo pure il suono schiacciato del Toscano gl, ma questo suono il facciamo colle due ll, per esempio, all (aglio, lat. allium) che si pronunzia come in Toscano il segnacaso articolato agl', di che vedi nella lettera L.

Ammette avanti di se nel mezzo della parola, e in diversa sillaba la L, N, R, S, T, come vulgo, angel, verga, esglay (spavento) desgregar, coratge (coraggio) e talora anche in una medesima sillaba, particolarmente la R, e il T, come borg (borgo) ensatg; il che però addiviene di rado, e per lo più in qualche monosillabo solamente. Non si raddoppia mai se non in qualche voce, dove stia posta in vece del C, come in giugglar per giucglar (giullaro) usando noi, in cambio del doppio G, il tg; di maniera che, dello stesso modo pronunziamo la suddetta parola coratge come se in Toscano fosse scritta coragge; adoperando i Toscani, nello scrivere, quel primo g in vece del t, per ragione, che nella favella loro non si comportano accanto due mute diverse, come osservò il Buommattei Tratt. 4. cap. 4., 6., e 10.
L' j lungo ha lo stesso suono presso noi, che il G chiaro, e soave, come diremo alla lettera I; onde per più vaghezza della scrittura, e della stampa, usiamo scambievolmente coratge, e coratje; gatge, e gatje, e simili.







H.


H. Non ha appo i Toscani suono veruno particolare, ma se ne servono per difetto di caratteri, ponendola dopo il C, e G, quando accoppiati colle lettere E, ed I, vogliono esprimere lo stesso suono, quale si pronunzierebbe coll' A, O, U: come Chino, Cheto: Gherone, Ghiro.
Ha servito questo carattere per tor vi a qualche equivoco, come per distinguere Hanno verbo, da Anno nome, ed Ho, Hai, Ha verbi, da Ai articolo, affisso al segno del terzo caso, ed A preposizione, ed O particella separativa, o avverbiale. Così abbiamo usato anche noi in questo Vocabolario; non condannando perciò anche gli usi diversi.

Nè anche in Provenzale ha egli suono veruno, servendo solamente, o per tor via qualche equivoco, come per distinguere Ha verbo, da A preposizione; o per far mutare di suono la L, come Marselha (Marsiglia, Città della Provenza) malh (maglio) alh (aglio) e simili, ove la h altro non denota, se non, che la l si debbe profferire come il Gl schiacciato de' Toscani, conforme si dirà appresso nella lettera L; o pure per far perdere il suono naturale dell' N, come senhor, vergonha, di che vedi alla N: la quale ortografia usa ancora il Portoghese, che scrive baralhar (bisticciare) apparelhar, trabalhar, talhar, orelha, ovelha (pecora) abelha (ape, pecchia) apparelho, parelha, olh, ec. e così acompanhar, banhar, envergonhar, ec. voci tutte proprie del nostro Provenzale, dal quale, molte eziandio quello Idioma ne tolse, come sono, fra l' altre, oltre alle suddette, abonançar, aturar, cuberta, força, lebre, enveja, envejar (pronunz. envégia, envegiar) mestre, nu (L. nudus) pardal (L. passer) pedrada (sassata) pedragal (petricato L. saxetum) Trovador (Poeta) trovar (poetare) viga (trave) vinagre (vinagro, aceto) volataria (volatío, uccellame) voltar, volta, e cento più. Del restante parmi, che questo carattere si doverà cacciare dalle altre voci, per inutile, e del tutto superfluo, siccome respettivamente anno fatto gl' Italiani, e i Franzesi; e scrivere rustic, amic, umil, om ec., e non più rustich ec.

In Provenzale il chiamiamo Ach, o Ac, onde poi è stato detto dagl' Italiani, Acca, come accenna Pascasio Grosippo, o vogliamo dire Gasparo Scioppio nella sua Gramatica Filosofica a c. 194. della edizione di Amsterdamo del 1664. così: Ex istis primum dicimus nomen H literae, fuisse HA, ut à Germanis pronuntiatur; non ACCA Italorum, neque ACHE Hispanorum; quod illi perinde pronuntiant, ac si Hetruscè acie, Germanicè aische, Gallicè hache scriptum foret. Nimirum ex ha, primum factum fuerat ah; quod alii pronuntiarunt ut ach, sicut ex michi fecerunt mihi. Inde porrò natum est Italicum accha, vel acca. Undè postea Hispani, & Galli plus etiam literae appellationem corruperunt.


I.


I. Lettera vocale, amica dell' E, prendendosi spesso l' una per l' altra, scambievolmente, come Disio, e Desio: Offerire, e Offerere; Stia, e Stea. S. I. Quando è posta in alcuna voce di qualsivoglia maniera si sia avanti un' altra vocale, si prendono quasi sempre quelle due vocali appo i Toscani, per dittongo, e si pronunziano in una sillaba sola; come Piano, Fiele, Pioggia, Fiume, la qual proprietà ottiene ancora l' U vocale. Pronunziasi nondimeno, alle volte, per due sillabe, ma avviene più di rado: come Sviato, Fiata, Chiunque. S. I. Nel nostro idioma, vaghissimo della dolcezza, si aggiugne frequentemente per isfuggir l' asprezza della pronunzia, a tutte le voci comincianti da S, colla consonante appresso, e allora massimamente, quando la parola antecedente termina in consonante: come Per ischerzo, Con ispirito.

Lo stesso scambiamento si truova in Provenzale, come gitar, e getar; mantinent, e mantenent; lial, e leal. Anzi per la stretta amistà, che ha coll' E, vuole accompagnarla in più voci, ponendosele accanto, benchè non sia d' uopo, trovandosi ugualmente scritto Pere, e Peire; destrer, e destrier; cavaler, e cavalier; dret, e dreit; estret, e estreit; manera, e maniera, e maneira; frontera, frontiera, e fronteira ec. nelle quali voci, ed altre somiglianti, tutte e due queste vocali si pronunziano con un solo spingimento di fiato, facendo dittongo. E quindi è, che i Toscani ad imitazione di nostri antichi l' anno aggiunta in più voci, usandosi scambievolmente panzerone, e panzierone; panzeruola, e panzieruola; parete, e pariete; prego, e priego; alteramente, e altieramente; altero, e altiero; beltà, e bieltà; breve, e brieve; brevemente, e brievemente; brevità, e brievità; concordevolmente, e concordievolmente; corriere, e corrére; tregua, e triegua ec. Ne' MSS. del buon secolo de' medesimi Toscani si truova progienia, giente, giennaio, ciercare, cienato, diciea, pacie, piacica, ed altre simili, in vece di progenia, gente, gennajo, cercare, cenato, dicea, pace, piacea. I, posto avanti l' A non fa mai dittongo nella Lingua Provenzale; così solía, avía, diría, sono sempre presso noi Catalani di tre sillabe.

I nostri Vecchi l' adoperarono non solo in vece del G chiaro, facendo allora la figura di consonante, come coratie, gatie, liie (ligio, vassallo)

che così ancora a imitazione de' nostri l' usarono i Toscani, come in ariento per argento, arientato per argentato; ma eziandio del muto, o rotondo, come in oian, iai, espiia, enianar, preiar, e somiglianti, in vece di ogan (uguanno) gai (gajo) espiga, enganar, pregar: il che su accennato dal dottissimo Crescimbeni nella Annot. IX. della Vita di Rambaldo d' Oranges. Oggi noi Catalani con più chiara, e distinta ortografia l' usiamo solamente nel primo modo, cioè in cambio del G. chiaro; e per questo uso abbiamo introdotto l' j lungo, per contrassegno, che allora è consonante, come coratje, gatje. E così ancora anno fatto dopo di noi i Toscani, scrivendo Gennajo, gajo ec. benchè sia presso loro di suono tenue (salvo, quando è posto nel fine di dizione, come esempj, varj ec. dove vale per due ii, pronunziandosi

però esempi, vari ec.) cioè, come il nostro suono dell' y greco posto tra

due vocali; in guisa che, dello stesso modo pronunziano Gennajo, come se da noi fosse scritto Gennayo; il quale y greco, chiamato alla Greca ipsilon, e Toscanamente Fio, fu usato dagli Scrittori Toscani del buon secolo in vece dell' i, come si vede, fra gli altri MSS., nel Villani dell' Abate Anton Maria Salvini. Intorno all' aggiugnere la I alle voci comincianti da S, colla consonante appresso, vedi quel che abbiamo notato al B. Questa lettera fu dagli antichi Toscani adoperata alla Provenzale, in vece delle particelle Ivi, Quivi, Ci, Vi. L. ibi, illic. Franc. Barb. 265.
Et una scritta i metti
Con tuoi pietosi detti.

e car. 302.

Guarda dal Calzolaro,

Ch' è ricco, e troppo avaro:

E da lo Spetiale,

Che del vender no i cale.

e 345.

Altri son certe volte,

Che in otto giorni a la donna diranno,

Che merito vorranno,

Non sanno quel che merito è a dire;

Che inanzi i va servire.

Guido Guinicelli.

Poi che n' ha tratto fuore

Per la sua forza il Sol ciò che gli è vile,

La stella i da valore.

Cecco Angiulieri.

Chi d' Amor sente, di mal far no i cale. e altrove, nella Raccolta de' Poeti Antichi di Monsig. Leone Allacci f. 201.
Che s' io volesse y scender non potrei.
Il che fu osservato dall' Ubaldini Tav. Docum. Amor. Barber. così:

"I, per Ivi, riguarda il luogo; alla Provenzale; Sordello:
Ben deu esser bagordada

Cortz de gran baron:

E i deu hom faire gran don,
E qe i sia gens honrada.

E dopo di lui dal sopraccitato Crescimbeni nella sua Storia della Chiesa di S. Giovanni avanti Porta Latina, lib. I. cap. 3. dove spiega alcune voci oscure sparse per entro una certa leggenda del Santo, scritta da un' Anonimo Sanese nel secolo XIV., in questa guisa: “Ine, cioè ivi, dissero i Sanesi antichi; e stimiamo, che sia un' accorciamento di line, cioè lì, coll' accrescimento della ne menzionata di sopra alla voce ane: trovando noi i per ivi ben due volte in Francesco da Barberino Doc.
d' Amore pag. 265., e 345. Et una scritta i metti: Che inanzi i va servire. E questa maniera è Provenzale: Sordello:”

E qe i sia gens honrada.

E finalmente dal Gigli, nel suo Apparato Op. S. Cat. a c. 107. in questo modo:

Alcuno si dava a credere, che la voce ine venisse dal latino in eo loco: Ma in verità è una voce sorella del line per lì, quine per quì, quane per quà, e simili, di cui è pieno Dante; e la Santa alla lett. 225. n. 6. pose none per nò, alla 270. n. 2. ane per ha: non essendo altro quella terminazione in e, o, ne, che un posamento, che vuol fare la nostra Pronunzia in quella vocale, e non tagliarsi la lingua nelle monosillabe accentuate lì, quì, nò &c. E se altri replicasse, che l' avverbio ivi non avea bisogno di questo posamento, sappiasi, che di que' più antichi tempi dicevasi i. Vedilo in Francesco da Barberino Docum. 9. fogl. 265.”
Et una scritta i metti
Con tuoi pietosi detti.

Ed i Toscani lo presero senz' altro da' Provenzali, come può vedersi fra le Poesie di que' Poeti raccolte dal Crescimbeni alle Rime di Blancassetto fogl. 239.

Bem' plaz lo gai temps de paschor,

Qe fai foillas è flors venir;

E plaz me quant auz la bauzor

Dels ausels qe fan i retentir

Lor cant.


Ben di pastura il gajo tempo piacemi,

Che fa foglie, e fior venire;

E piacemi quand' odo la baldoria

Degli augei, che fann' ivi risonare

Loro canto.

Ed un' altro esempio vi se ne legge a fogl. 144. nelle Rime di Guglielmo degli Almaricchi, o Amerighi. Agli esempli Provenzali suddetti aggiungo di passaggio i seguenti. Ans. Faid. Canz. C. V. 4. 24. t. 2.

Domna l' afanz el' cossir m' es tan bo,
Com plus i pens e mais i voill pensar.
Donna, il pensier, e affanno sì mi piace,
Che più ci penso più ci vò pensare.
E appresso:

Per vos servir fui noiritz,

Si que totz jorns per usatge

I tenc los oills, e l' coratge.

Per servirvi fui allevato,

Si che tutto giorno, per usaggio,

Ci tengo gli (a) ogli, e 'l coraggio.

Mon. Montau. C. V. 4. 123. I.

De Tolsan, ni de Carcassès

Nom' plaing tan fort, ni d' Albigès,

Com d' altres faz;

En Catalongna ai totz mos bes,

Ei soi amatz.

De i Carcassonesi, e Tolosani,

E Albigesi, sì forte non mi lagno

Come degli altri faccio:

In Catalogna ho tutto il mio bene,

Ed ivi sono amato.


(a) Ogli per occhi dissero alla Provenzale gli antichi Rimatori Toscani, e fra gli altri Cino da Pistoja, Guido Cavalcanti, e Jacopo da Lentino, come si vederà nel terzo Volume.

L.


L. Lettera, la quale ammette, dopo di se, ne' mezzi delle parole, e in

diversa sillaba tutte le consonanti, dalla N, R, in poi: come Alba, Falcone, Falda, Volgo, Salma, Alpe, Polso, Salto, Selva, Calza. E in tutti questi luoghi, i Toscani, nel pronunziarla le fanno, per più dolcezza, perdere alquanto di suono. Avanti di se, nel mezzo delle dizioni riceve il B, C, F, G, P, R, S, T: come Obbligo, Concludere, Conflitto, Ciglio, Esemplo, Parlamento, Slungare, Atleta; il che sempre fa nella stessa sillaba, salvo, che colla R, colla quale s' accoppia in sillaba diversa: come Orlato; ma di rado si trova, appo la nostra lingua, dopo la B, C, F, T, come suono, assai, per sua durezza, fuggito. Dopo la G, poco è in uso, se però non seguita l' I: come Giglio, il quale gli fa fare suono più schiacciato, e sottile, come si dice nella lettera G. Di rado si truova dopo la S, e anche in principio di parola: come Slegare; ovvero ne' verbi composti, colla preposizione Dis, o Mis: come Disleale, Misleale. Accoppiata, col T avanti, non è suono di questa lingua, ma solo si usa per le voci forestiere, non divenute ancor nostre affatto: come Atlante, Atleta. Con tutte queste lettere avanti, perde alquanto di suono, salvo, che colla R, e colla S, le quali gliele lasciano mantenere intero. Pronunziasi la S, avanti alla E, nel secondo modo, cioè con suono sottile, o rimesso, quale è nella voce Musa, come si dice nella lettera S. Raddoppiasi, dove è necessario ne' mezzi della parola: come Anello, Coltello.

Pur similmente nel nostro Linguaggio ammette dopo di se le medesime consonanti, che in Toscano, come alba, falcon, e falcò; falda, vulgo, salmejar (recitar i Salmi) felpa, polsar, saltar, selva, calza, e calça.
E talora in una medesima sillaba, il che però solamente addiviene in alcuni monosillabi, come salm, pols, salt. E così ancora avanti di se nel mezzo della parola, e per lo più nella stessa sillaba, riceve il B, C, F, G, P, R, S, T; come oblidar, concloure, conflicte, singlot, exemple, parlament, desleal, ratlla. Si raddoppia dove fa mestiere: come palla (paglia) medalla (medaglia) ull, e oill (occhio), e sempre, che è doppio perde il suo propio suono, e si profferisce, come il Gl schiacciato de' Toscani, fuorchè in alcune voci prette Latine, come illustre, illustrar; onde le nostre sillabe lla, lle, lli, llo, llu; o pure, lha, lhe, lhi, lho, lhu, che è tutt' uno, come abbiamo accennato nell' H, rendono lo stesso suono, che le Italiane glia, glie, gli ec. la quale ortografia usarono eziandio gli antichi Toscani, come osservò l' Ubaldini nella Tavola al Barberino alla voce Involle, con queste parole: “Era nulla di meno cosa ordinaria, che la l prima, quando sono queste lettere raddoppiate si pronunziasse per g in molte voci, il che si conosce da' MSS. antichi, e da' libri anticamente stampati; e ce ne danno indizio la lingua Franzese, e la Spagnuola, che sin oggi così scrivono, e pronunziano.”
E l' Autore delle Osservazioni sopra alcune voci delle lettere del Beato Don Giovanni dalle Celle Monaco Vallombrosano, stampate in Firenze nel 1720., a c. 75., così: “I nostri antichi scrissero molte volte con due LL, in cambio di Gl, così nel Volgarizzamento di Livio, che fu scritto nel 1326., in un Dante della Medicea Laurenziana, nel Salustio Catilinario, ed in altri Testi a penna, si trova scritto mallia, per maglia; battallia, per battaglia; velliardo, per vegliardo, ed altre simili in gran numero.”
I nostri non la raddoppiavano mai in principio di parola, e scriveano lob, o lop, letra, ec. oggi facciamo tutto 'l contrario, e diciamo llop, lletra, ec. e così ancora nel fine di molte parole, come anell, cortell, che gli antichi dissero, e scrissero anel, cortel.

Ha parentela coll' R, usandosi in molte voci l' una, e l' altra indifferentemente, come rossignol, e rossignor; coltel, e cortel; valvasor, e varvasor; Blancaflor, e Brancaflor (Biancafiore) Porfili, e Porfiri (Porfirio) albre, e arbre; malgarita, e margarita, siccome si vedono scritte ne' Codici Vaticani delle Rime Provenzali, ed in altri:
E così pure in Toscano, benchè il Vocabolario non ne faccia menzione, come albore, e arbore; albitrare, e arbitrare; albitrio, e arbitrio; albuscello, e arbuscello; scilocco, e scirocco; colcare, e corcare; e fra gli scrittori più antichi, esemplo, e esempro; oblianza, e obrianza, ed altre, come osservò appieno il Salviati ne' suoi Avvertimenti, volum. I. lib. 3. cap. 3. partic. 19.

M.

M. Lettera, sorella della N, prendendosi in cambio di essa, seguitandone B, o P,  per miglior pronunzia: come Empio. Consente similmente in mezzo di parola innanzi di se, e in diversa sillaba la L, R, S: come Alma, Orma, Risma, quantunque la S si trovi di rado in mezzo della parola, e farà per lo più ne' verbi composti colla preposizione Dis: come Dismettere; ma nel principio è più frequente: come smania, smarrito. Profferiscesi la S, innanzi alla M, nel secondo modo, cioè con sottil suono, e rimesso, come nella voce Rosa, conforme a quello, che si dice nella lettera S. Raddoppiasi nel mezzo della parola, quando egli

occorre: come Femmina, Mamma, ec.

Pur similmente nel nostro Provenzale si prende in cambio della N, seguitandone B, o P, come embellir (imbellire) emborsar (imborsare) embaxada (imbasciata) empobrir (impoverire) empeguntar (impegolare). Consente parimente in mezzo della dizione, avanti di se, e in diversa sillaba, la L, R, S; come almoyna (limosina) almugaver (mugavero) formiga, formatge, esmorsar (far colezione, e la colezione stessa) Si raddoppia, dove è necessario, come semmana (settimana) emmalaltir (ammalare).



N.


N. Lettera di suono simile alla M, la quale si raddoppia, come l' altre consonanti, dove è mestiere: come Panno, Cenno. Posta dopo la G perde una gran parte del suo suono, e quasi un' altra lettera ne diventa, e ciò addivien sempre nel mezzo della parola, e nella sillaba stessa: come Agnello. Può forse talora avvenir ciò, in principio di parola, ma molto di rado, e forse una volta, o due solamente: come Gnaffe, Gnau. Riceve dopo di se delle consonanti il C, D, F, G, S, T, U, Z, nel mezzo della parola, ma in diversa sillaba, e mantiene lo 'ntero suono, come Banco, Banda, Enfiato, Vangelo, Mensa, Vento, Convito, Stanza. Ammette avanti di se in mezzo della parola, e in diversa sillaba la R, S: come Arnie, Disnebbiare, quantunque la S non si trovi mai in mezzo di parola, se non ne verbi composti colla preposizione Dis, ma nel principio più spesso: come Snodare. E sempre si pronunzia la S, come avanti la N, nel suono più sottile, quale nella voce Accusa, come si dice nella lettera S. Nel nostro Idioma parimente si raddoppia, quando bisogna, come conna, cioè cotenna; ennegrir (annerire) ennoblir (nobilitare). E posta dopo la G fa lo stesso effetto, che in Toscano, come Agnel, Agnello; il che similmente addivien sempre nel mezzo del vocabolo, e nella medesima sillaba, fuorchè in Gnau, voce della Gatta, e in Gnerro, nome di fazione, che propriamente vale porcell (porcello) il qual nome, per dir ciò di passaggio, molto strepitoso fu in Catalogna negli andati secoli, per ragione delle due fazioni appellate dels Gnerros, e Cadells, cioè de' Porcelli, e de' Cagnuoli: onde Vincenzio Garzia, nel suo Disinganno del Mondo Stanz. 66.

Quant lo Evangeli cantavan 

En la Iglesia antigament,

Los Nobles encontinent

La espasa desembaynavan:

Y ab asso significavan,

Que tenian aparell

De morir, peleant per Ell: 

Mes ja aquella gallardia

Tota sen va vuy en dia

En ser Gnerro, ò ser Cadell. 

cioè:

Quando il Vangelo si cantava

In Chiesa, anticamente,

I Nobili incontinente,

Sfoderavano la spada: 

E così significavano,

Che erano apparecchiati

A morir battagliando per esso: 

Ma già quella gagliardia

Tutta se ne va oggigiorno

In esser Porcello, o esser Cagnuolo. 

E forse alludendo alle medesime fazioni, disse Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo.

Ben vò che ponga a quel, ch' or dico, cura;

Solo per un Cagnuol, ch' è una beffe,

Si mosse guerra, e sdegno, ch' ancor dura.

Ma ritornando al nostro proposito, egli è ben vero, che noi Catalani, per farle perdere il suono naturale, ci prevalemo del Fio, in cambio del G, mettendolo dopo, di modo che, in vece di scrivere, verbigrazia Espagna, Catalugna ec. scriviamo Espanya, Catalunya, eccettuatene le suddette voci Gnau, e Gnerro: onde appresso noi le sillabe nya, nye, nyi, nyo, nyu, rendono lo stesso suono, che gna, gne, gni, gno, gnu. Ne' Codici Provenzali della Vaticana, ed in altri libri antichi ho osservato, che anche la H faceva lo stesso sopraccennato offizio del G, scrivendo nha, nhe, nhi, ec. in cambio di gna, gne, gni, come per esempio vergonha, entresenha, senher, companhia, senhor, e simili, per vergogna, entresegna, segner, compagnia, segnor. E così usa ancora il Portughese, che scrive banhar, envergonhar ec., come abbiamo toccato di sopra all' H. La lingua Castigliana adopera per questo fine, il segno, o titolo sopra la n così, ña, ñe, ñi ec. come España, Cataluña, Señor, Nuñez.

Dopo di se riceve in Provenzale, nel mezzo della parola, e in diversa sillaba tutte le consonanti, che in Toscano, come banca, banda, inflat (gonfiato, enfiato) evangeli, mensonha, e mensogna, e mensonya; convent, convit, estanza; e anche talora in una stessa sillaba, il che però solo addiviene nelle monosillabe, come banc, vent, guant ec. Ammette in oltre la R in diversa sillaba, come nelle voci onrar, onrat, onranza; ma il P lo rifiuta sempre sì in Provenzale, che in Toscano, non ostante di ritrovarsi in un Leggendario di alcune Vite di Santi, MSS. della Libreria Chigi, Inperatore, tenpo, tenpestoso; e in un Codice intitolato Libro d' Amore, ch' è in podere del Dottore Niccolò Bargiacchi da Fiorenza, Chanpagna per Campagna, o Ciampagna: Onde il Gigli nel suo Apparato all' Opere di Santa Caterina da Siena, fogl.138., dimostrava credere, che tale ortografia di scrivere tenpo, tenpestoso, e simili, fosse venuta dal Provenzale.

Avanti di se ammette la R, in mezzo della parola, sì in una medesima sillaba, che in diversa, come carn, arna (tarlo) arnès (arnese). Ammette pure avanti di se la S, ma solamente in diversa sillaba, come desnuar (snodare) e non mai in principio di parola per fuggire l' asprezza, che ne renderebbe, come è stato detto alla lettera B: onde appresso i Poeti Provenzali non si truova scritto snel per isnel, cioè sello, e isnello; ma sempre coll' i, componendo sillaba coll' s, compitando così: is-nel.

Gli antichi nostri frodavano sovente questo carattere, o il suo segno, o titolo, col quale si suol supplire per esso, e scrivevano verbigrazia ses per sens, o ses (e con virgulilla, sens) (senza) us per us (u con virgulilla, uns) (uno) bes per bes (e con virgulilla, bens) (beni) come si vede ne' Codici Provenzali, e respettivamente ancora ne' Codici Toscani, come nella voce cocordia per concordia, osservata da' Deputati del 73. nelle loro dottissime Annotazioni, sopra la correzione del Decamerone, a car. 94. Fosse ciò poi, o per vezzo proprio de' copiatori, o per dimenticanza di far quel segno, o per uso, o abuso, che si abbia a dire di quei tempi, sarebbe ora un voler indovinare. Egli è però ben vero, per non lasciar cosa, che da considerar sia, che si vede questa lettera frodata, o lasciata tal volta a bello studio, per esempio cascus per cascuns nel seguente passo d' un Documento di Arn. Marav. Cod. Vat. 3204. 35. 1. 

Razos es, e mesura 

Mentr' om el segle dura, 

Qe aprenda cascus 

De cels qui sabon plus. 

Ragion è, e misura 

Mentr' uom nel mondo vive, 

Che ciascuno appari 

Da coloro, che sanno più. 

così pesa per pensa in quest' altro, di Piet. Card. nel citato Cod. a car. 149. terg. colonn. 1.



E que vos en par

De ric hom quant pesa 

En gran tort a far, 

Et en pauca despesa, 

Et en petit donar,

E de tolre non sessa.

E che ve ne pare

Di ricco uomo, quando pensa

In fare gran torto,

E in poca spesa,

E in piccolo donare, 

E di togliere non cessa. 

Ed in oltre, che molti nomi si adoperano bene, ora coll' N, e ora senza, come lasciò avvertito Ramondo Vitale nella sua Arte della Poesia Provenzale, Testo a penna della Libreria Laurenziana, colle seguenti parole: Per aver mais d' entendemen vos vuoil dir, qe paraulas i a don hom pot far doas rimas, com leal, talen, vilan, canson, fin, qe pot hom ben dir si vol, liau, talau, vilà, cansò, fi; aisi trobam qe o an menat li trobador; mas los primiers, so es leal, talen &c. son li plus dreg, cioè: Per aver più di cognizione, vi voglio dire, che vi sono delle parole, delle quali si possono far due rime, come leal (liale) talen (talento) vilan (villano) cansò (canzone) fin (fine) che uom può ben dire, se vuole, liau, talan, vilà, cansò, fi: così troviamo, che anno fatto i Poeti; ma i primi, cioè leal, talent (talen, sin t) &c. sono più dritti, o più acconci. Il che non fu osservato dal Crescimbeni nel raccorre, ch' ei fece i Codici delle Rime de' medesimi Trovatori; posciacchè altrimenti non avrebbe detto all' Annotazione II. della Vita di Ramondo Giordano, che il Tassoni Consid. Petr. cart. 19. lo chiama Raimondo Jorda (leggi Jordà) forse perchè nel testo, ch' ei vide, mancava la tilde, o segno della N, sopra l' ultima sillaba, cioè Jordá. Onde il dottissimo Anton Maria Salvini ne' suoi Discorsi Accademici part. 2. fogl. 419.: “Da tene adunque, in Provenzale ten, e senza l' ultima n, la quale in moltissime loro voci lasciavano, te si è fatto, te, che non togli, propriamente, ma tieni significa.” E quindi è, che ancora i Toscani usano moltissimi nomi, ora colla N, e ora senza, come angonia, e agonia; conscienza, e coscienza; instanza, e istanza ec. come si vede nel Vocabolario.

All' incontro poi i medesimi antichi la mettevano, dove non faceva mestiere, e scriveano sengnor, per segnor; congnat, per cognat; vingna, per vigna, e simiglianti il che si vide ancora presso i Toscani, e fra gli altri in Buonaccorso Pitti nella sua Cronica. La scambiavano poi in alcune voci, coll' Erre, come morgía per mongía (monacato, monachía) morge per monge (monaco) canorgia per canongia (canonicato) mersonga per mensonga (menzogna). Anche i Toscani, come disorrare, per disonrare; orranza per onranza; orrato per onrato.


O.


O. Lettera vocale, che ha gran parentela coll' U, usandosi in molte voci medesime, l' una, come l' altra, dicendosi Sorge, e Surge, Coltivare, e Cultivare, Agricoltura, e Agricultura; Fosse, e Fusse. Ha appo di noi due diversi suoni, siccome l' E: l' uno più aperto, come Botta, l' altro

più chiuso, e più frequentato in questo linguaggio, siccome Botte: onde, per fuggir la mala pronunzia, sarebbon necessari due distinti caratteri, quantunque detta diversità di suono, appo i Poeti non impedisca la Rima. Petr. Canzon. 8. E l' accorte parole, Rade nel Mondo, o sole. Dove nella penultima sillaba di Parole, l' O si pronunzia aperto, e in quella di Sole chiuso.

La medesima affinità, che ha in Toscano coll' U vocale, ha nel nostro Provenzale; usandosi indifferentemente coltivar, e cultivar; agricoltor, agricultor; orinar, e urinar; obrir, e ubrir; sofrir, e sufrir, ed altre simili, che si potranno osservare ne' passi degli antichi Scrittori Provenzali dell' età d' oro. E così ancora appo di noi ha gli stessi due suoni, che ha in Toscano, cioè l' uno più aperto, o largo, come botas (stivali) e l' altro più chiuso, o stretto, verbigrazia bota, cioè botte, il quale è viepiù frequente eziandio nel nostro linguaggio, siccome diffusamente insegna il Rimario Provenzale MS. della preziosa Libreria di S. Lorenzo.


P.


P. Lettera, assai simile al B, e all' V consonante, colla quale molte voci si pronunziano scambievolmente: come Coperta, Coverta: Soprano, Sovrano. Consente dopo di se, delle consonanti, nella medesima sillaba, la L, e R, e ne perde alquanto di suono: come Placare, Applicazione, Prato, Ginepro; quantunque colla L più di rado si truovi. Nel mezzo della parola, ma in diversa sillaba, ammette avanti di se la L, M, R, S: come Alpe, Tempo, Corpo, Aspido; benchè la S gli si ponga avanti ancora nel principio di dizione: come Spada, Spinta. La S avanti al P, si profferisce nel modo più comune, cioè col suono più intenso, quale è nella voce Casa, di che vedi nella lettera S.

Per ragione della somiglianza, che il P, nel pronunziarsi, ha col B, si  trovano ne' Codici antichi scritte molte voci indifferentemente coll' una, e coll' altra di queste lettere, sì in Provenzale, che in Toscano, di che vedi nel B.

Delle consonanti ammette pure nel Provenzale, dopo di se, e in una medesima sillaba la L, e R, perdendo alquanto di suono, come placar, aplicaciò, prat, prec ec.

Nel mezzo della parola, ma in diversa sillaba consente eziandio avanti  di se le suddette lettere L, M, R, S, come culpar, colpejar (colpeggiare) temporal, tempestat, despit (dispetto) corporal, senza comprendervi però alcune monosillabe, come asp (aspo) colp (colpo) corp (corvo) temps (tempo).

La S non se gli pone mai avanti nel principio di dizione, dicendo noi con più dolcezza, espasa, especieria, ec. e così estar, esquivar, ec. e non star, ec. come osservò il Cardinal Bembo nelle sue Prose, e si è dimostrato nella suddetta lettera B.


Q.

Q. Lettera, appo i Toscani non serve, se non per C, quando è posta con una vocale appresso, davanti all' U, perchè lo stesso è dir Quocere, che Cuocere: Quojo, che Cuojo; ma però non è inutile affatto, potendo servire, per qualche contrassegno, siccome la H. Onde seguitando l' uso già introdotto, posiamo usarla in luogo del C, quando, colla vocale appresso, anteposta all' U, il tutto si debbe profferir per dittongo, cioè in una sillaba sola: come Acqua, Questo, Quattro. All' incontro adoperare il C, quando all' U seguendone altra vocale, s' ha da pronunziar per due sillabe: come Cui pronome di due sillabe, a differenza di Quì avverbio d' una sillaba sola: Taccuino di quattro sillabe, e non Tacquino di tre: Essendo la stessa, che C, ottiene anche le stesse proprietà, salvo, che dovendosi raddoppiare, il C gli si pone avanti, in sua vece: come Acqua, Acquisto.

Sì in Provenzale, che in Toscano, ha il suono del C muto, o rotondo; onde ne' Codici MSS. delle Rime Provenzali si osservano scambievolmente scritte parecchie voci ora col C, e ora col Q, per esempio com, e qom; car, e qar; cor, e qor. Serve però talora, eziandio nel nostro Linguaggio, per qualche contrassegno, siccome l' H; verbigrazia nella voce quina, che vale cinquina, dove si debbe adoperare sempre il Q, e non il C, a differenza di cuina, o cuyna, cioè cucina; imperciocchè in quina, la quale si pronunzia, come se fosse scritta in Italiano china, non si sente il suono dell' u, essendo quel qu lo stesso, che in Toscano il ch; ma sì in cuina, la quale benchè sia pure di due sillabe, come quina, la prima di esse sillabe si profferisce per l' appunto, come il pronome cui, che appo noi è monosillabo. Veggasi quel che abbiamo rinvergato nella lettera C.


R.


R. Lettera di suono aspro, e nelle voci, dove è raddoppiata, e frequentata, denota sempremai rigidezza. Consente dopo di se tutte le consonanti nel mezzo della parola, in diversa sillaba: come Garbo, Barca, Perdono, Forfora, Organo, Orlo, Arme, Ornare, Serpe, Tarquinio, Verso, Corte, Nervo, Sferza; e in tutti questi luoghi ritiene il suo intero suono. Ammette avanti di se nel principio, e nel mezzo della parola, e nella stessa sillaba, la B, C, D, F, G, P, T, V, e fa perder loro alquanto di suono: come Braccio, Ambra, Crusca, Increspato, Drago, Androne, Fragola, Refriggerio, Grato, Agro, Prato, Rappresaglia, Trave, Intrecciato, Cavretto, Sovrano; ma l' V è quasi sempre in mezzo della parola. Nel principio della parola riceve ancora la S, come Sradicare, e la S si pronunzia nel suono più rimesso, quale nella voce Accusa, di che alla lettera S. Raddoppiasi nel mezzo della parola frequentemente, come Carro, ec.

Nel Provenzale consente eziandio dopo di se tutte le consonanti, il che addiviene sempre in diversa sillaba, fuorchè in alcuni pochi monosillabi, come garbell (crivello) barb (barbo) barca, perdonança, forfaitura (forfattura, furfanteria) orga, orla, arma, ornar, serpejar (serpeggiare) serp, arquejar (archeggiare) arquet (archetto) vers, versejar, cort, cortejar, nervi, guerxo, ec.

E così pure avanti di se ammette le medesime consonanti, che in Toscano, trattane la S, come brasa, bras, ambra, cresta, encrespat, dragò, e dragon, fragilitat, fresc, refrigeri, gratar, grat, agre, presa, prat, trav, treva, e tregua, ovrir: Ma l' V è di rado, e solamente si troverà in qualche vocabolo, dove stia posto in vece del B, come nel suddetto ovrir, per obrir. Ha poi parentela colla L, sì in Toscano, che in Provenzale, benchè il Vocabolario non ne faccia menzione, di che vedi alla lettera L. Si raddoppia, dov' è necessario, come carro, carretta, correr; e così raddoppiata si profferisce con più asprezza. 



S.


S. Lettera di suon vemente, come la R. Posta in composizione co' suoi primitivi, ha forza molte volte di privativo: come Calzare, Scalzare: Montare, Smontare. Alle volte d' accrescitivo: come Porco, Sporco: Munto, Smunto. Alle volte di frequentativo: come Battere, Sbattere. Alle volte non opera nulla, valendo lo stesso Campare, Scampare: Bandito, Sbandito: Beffare, Sbeffare. Appo di noi ha due vari suoni: il primo più gagliardo, e a noi più familiare: come Casa, Asse, Spirito. 

L' altro più sottile, o rimesso, usato più di rado: come Sposa, Rosa, Accusa, Sdentato, Svenato. In questo secondo suono non si raddoppia giammai, nè anche si pone in principio della parola, se non quando, immediatamente ne segue una consonante: come Smeraldo, Sdentato, ec. Consente dopo di se, nel principio della parola, tutte le consonanti, salvo la Z. Nel mezzo della parola, e in diversa sillaba, riceve dopo di se le medesime consonanti, ma più malagevolmente, e per lo più in composizione, colla preposizione Dis, o Mis: come Disdetta, Misleale; ma col G, P, T, s' accoppia frequentemente, senza difficoltà: come Tasca, Cespuglio, Presto. Quando è posta avanti al C, F, P, T, si dee pronunziare nel primo modo, cioè col suon più gagliardo: come Scala, Sforzo, Vespa, Studio, Cesto; ma avanti al B, D, G, L, M, N, R, V, si pronunzia col suono più sottile, o rimesso: come Sbarrare, Sdegno, Sguardo, Slegare, Smania, Snello, Sradicare, e Sventura. Avanti di se ammette la L, N, R, in mezzo della dizione, e in diversa sillaba: come Falso, Mensa, Orso. Raddoppiasi nel mezzo della parola, come l' altre consonanti, dove lo ricerca il bisogno.

In Provenzale ha parimente due suoni, il primo più forte, e chiaro, simile al sigma greco, usato comunemente quando è posta tra una vocale, e una consonante, come consentiment, consiensia, aspi: e così pure quando è posta in principio di parola, come saber, segnor, o senyor. L' altro più sottile, o rimesso, come il suono del zita de i Greci, il qual suono adoperiamo allorchè è situata fra due vocali, come casa, rosa. In questo secondo suono non si raddoppia giammai, imperciocchè essendo doppia, sempre si pronunzia gagliardamente in qualunque modo sia collocata, come possessiò, ove tutte le quattro ss sono di suono chiaro, e gagliardo.

Consente dopo di se tutte le consonanti, il che sempre addiviene in diversa sillaba, trattone qualche monosillabo come vesc (veschio, vischio) fresc (fresco). Avanti di se ammette, delle consonanti, eziandio la L, N, R, come falsedat, fals, constipaciò, ensems (insieme) ors (orso) arsenit (arsenico) arsò (arcione). Il nostro Linguaggio vaghissimo della dolcezza, non ammette niuna parola, che incominci per S colla consonante appresso; onde per isfuggire l' asprezza della nunzia, diciamo, estudi, estar, espòs, e simili, come è stato detto alla lettera B. I più antichi Scrittori del buon tempo, sì Prosatori, che Poeti, l' aggiugnevano nel caso retto del numero del meno della maggior parte de' nomi masculini; e così diceano, e declinavano: lo Reis, o lo Reys, del Rei, al Rei; lo noms, del nom, al nom. Ed all' incontro la toglivano via dal primo caso del numero del più della maggior parte de' medesimi nomi maschili, nel qual primo caso degli stessi nomi, che non consentivano la s, adoperavano l' articolo li in vece di los (e ill ancora, particolarmente i Rimatori, e per lo più precedendo vocale) e così declinavano li Rey, dels Reys, als Reys: li nom, del noms, als noms, come insegna l' Autore della Gramatica Provenzale nella Real Libreria di MSS. di S. Lorenzo di Firenze, là dove egli dice: Li cas son seis: Nominatius, Genitius, Datius, Acusatius, Vocatius, Ablatius. 

Lo Nominatius se conois per lo, si com: Lo Reis es venguts. Genitius per de, si cum: Aquest destrier es del Rei. Datius per a, si com: Mena lo destrier al Rei. Acusatius per lo, si cum: Eu vei lo Rey armat. E non se pot conosser, ni triar (scernere, distinguere) l' acusatius del nominatiu, sinò que per çò, que l' nominatius singulars quan es masculís vol S en la fi; e li altri cas nol' volen. E l' nominatius plurals nol' vol; e tuit li autre cas volenlo en lo plural. Però lo vocatius deu semblar lo nominatiu en totas la dizios, que fenissen in ors, e en las altras ditions quev's (queu's) dirè aici: Deus, Reys, francs (franco, libero) pros (prode) bos, cavaliers, cançòs ec. Però de la regla on fo dit dessùs, que l' nominatius cas no vol S en la fi quan es pluralis numeri, voil traire fors (eccettuare) tots los feminis, que non es dit mas solamen dels masculis, e del neutris (che non si è parlato, che de' maschili, e de i neutri) que son semblan el plural per totz locs, si tot es contra gramatica (contuttochè sia contra la regola della Lingua Latina) E lai on fo dit del nominatiu singular que vol S per tot a la fi, voilh traire fors totz aquels que fenissen en aire, si cum Emparaire, amaire: E en eire, si cum Peire ec. E en ire, si cum traire (traditore) consentire (consenziente, consentitore) ec. Mas albires (osservatore, guardatore, stimatore) vol S, e consires (pensoso, travagliato, consiroso) e desires (desideroso, desiroso) E de la regla del nominatiu singular qe vol S a la fi voilh ancara traire fors alpestre, ec. e tots los ajectius neutris quan son pausat sens sustantiu, si cum: Mal m' es, greu m' es, fer m' es, esqiu m' es, estranh m' es qu' el aja dit mal de mi. E voilh en traire fors encara dels pronoms alcus, si cum: Eu, tu, el qui, aquel, ilh, cel, aicel, aquest, nostre, vostre, que no volon S en la fi, e son del nominatiu singular. Lo stesso dice, ed insegna Raimondo Vidale nella sua Arte della Poesia Provenzale, MS. della suddetta Libreria; e si vede, per darne quì qualche esempio de' nostri Poeti, dagli appresso versi, o passi: Bertr. Born. 161. 2.

E l' Reis Felips en Mar poja, 

Ab altres Reis, qu' ab tal esforz vendràn (la e con virgulilla).

E il Re Filippo in Mar poggia (monta sulla nave, s' imbarca) 

Con altri Re, che vengono in soccorso. E 163. t. 2.

Puois als Barons enoja, e lur pesa 

D' aquesta patz, qu' han feta li dui Rei, 

Farai Canson tal, que, quant er apresa 

A cazaun sarà tart que guerrei. 

Poi a' Baroni annoja, e lor dispiace 

Questa pace, ch' anno fatta i due Re, 

Farò Canzone tal, ch' essendo intesa 

Ambi vorranno tosto guerreggiare. 

Piet. Carav. C. V. 4. 27. t. 1. 

Molt es bona terra Espagna, 

E ill Rei, qe Seignor ne son, 

Dolz, e franc, e car, e bon, 

E de cortesa compagna. 

Buonissima terra è la Spagna, 

E i Re, che Signori ne sono, 

Dolci, e franchi, e cari, e buoni 

E di cortesa compagna. 

Piet. Vid. C. V. 4. 29. t. 2. 

Als (a) quatre Reis d' Espagna està molt mal

Car no volon aver paz entre lor,

Car altramen ill son de gran valor,

Adreg, e franc, e cortès, e leial.

(a) Als quatre Reys d' Espagna: cioè al Re di Castiglia, al Re di Aragona, al Re di Portogallo, e al Re di Navarra.

A i quattro Re di Spagna stà assai male 

Che non vogliono aver pace fra loro,

Che altramente egli sono valorosi

Cortesi, e leali, e franchi, e accostumati.

Ans. Faid. C. V. 4. 24. 1.

Per queu's son tuit obedien

Li cortès, e ill bon, e ill valen.

Perchè tutti vi sono ubbidienti

Li cortesi li buoni, e li valenti.

E 26. 2.

Lo jorn qu' Amors me fes doptàn venir

Vers la bella, don us cortès semblans

Dels seus bels oills m' intrèt ius el coratge,

Si qe anc puois nom' puesc voltar aillors,

Adoncs saubì que l' oill m' eron messatge

D' Amor; e al cor me venc fret, e calors,

Jois, e consirs, ardimens, e paors.  

Il dì ch' Amor mi fe venir dottando

Verso la bella, onde un cortese sguardo

De' suoi begl' occhi intrò dentro 'l mio core,

Sì, ch' anco poi voltar non posso altrove,

Adunque seppi, che gli occhi eran messaggi

D' Amor; e al cor, freddo, e calor mi venne;

Pensiero, e (a) gioi; paura, ed ardimento.

(a) Gioi, che vale allegrezza, giubilo, e simili, dissero Provenzalmente gli antichi Rimatori Toscani, siccome fu osservato e dal Bembo nelle sue Prose, e dal Buommattei tratt. 7. cap. 18. a car. 115. ediz. Firenze 1714., ed ivi dal Salvini alla postill. marginal., e finalmente, per tacer degli altri, dal Crescimbeni nella annot. 2. sopra la Vita d' Ugo di S. Cesario, e in quella di Pietro di Blai; e se ne leggono molti esempli nella Raccolta de' Poeti di Monsig. Leone Allacci, particolarmente a car. 508., e 517., e ne' Comentar. Istor. Volgar. Poes. del suddetto Crescimbeni.


T.

T. Lettera di suono simile al D, e molte voci si dicono coll' una, e coll' altra: come Etate, Etade: Potere, Podere: Lito, Lido. Consente dopo di se la L, e R, col perdere alquanto di suono, ma la L malagevolmente, perchè non è suono di questa lingua, nè la riceve, se non in quelle voci, le quali non son fatte interamente nostrali: come Atleta, Atlante. Colla R fa miglior suono, e più usitato, tanto nel principio della parola, quanto nel mezzo: come Trave, Scaltro. Riceve, avanti di se, in mezzo della parola, in diversa sillaba, la L, N, R, S: come Alto, Punta, Orto, Asta. In principio di dizione riceve la S: come Storia, Studio, e si pronunzia la S nel primo suono, quale nella voce Casa, come nella lettera S abbiam detto. Raddoppiasi nel mezzo della parola, siccome l' altre consonanti: come Atto, Petto, ec.

Lo stesso osservo nella nostra Lingua, trattone quello del raddoppiarsi, e quello ancora di ricevere la S in principio di parola; dicendo noi estudi, estar, e simili, coll' aggiunta dell' E per ischifare in questa guisa l' asprezza, che ne uscirebbe nel profferire studi, star, come è stato avvertito nelle lettere B, e S. Osservo in oltre, che i nostri antichi lo scambiavano col Z in molte voci, trovandosi scritto indifferentemente meteis, e mezeis (medesimo) fortor, e forzor; mut, e muz; dret, é drez; mot, e moz, trametès, e tramezès: il qual cambiamento passò anche nella Toscana, come si vede dal Vocabolario, dove registrano gli Accademici della Crusca, antivenire, e anzivenire; ammortare, e ammorzare; fortore, e forzore; pontare, e ponzare. I medesimi antichi altresì, molto volentieri lo frodavano nelle voci finienti in nt nel singolare, e in nts nel plurale; e ciò facevano per più dolcezza di suono, scrivendo tan, pensamen, entendimens, in vece di tant, pensament, entendiments; ed in fatti nello scolpire le dette parole, ed altre simili, poco, o nulla facciamo sentire il suo suono; e così fanno ancora i Franzesi. Vedi del suo nome quelche abbiamo rinvergato

nella lettera B.


U.


U. Lettera vocale, e tal' or lettera consonante. Quando è vocale ha gran familiarità coll' o chiuso, dicendosi molte voci coll' uno, e coll' altro, scambievolmente: Sorge, Surge: Agricoltura, Agricultura. Quando gli segue appresso un' altra vocale, quasi sempre tutte e due si pronunziano per dittongo, cioè in una sillaba sola, come ancora addiviene all' I: Sguardo, Quercia, Guida, Fuoco. Bene è vero, che quando gli seguita appresso l' o, son sempre una sillaba sola, ma seguendo una dell' altre vocali, tal' or son due: Persuaso, Ruina, Consueto. Precedendogli il G, C, o Q, fa sempre dittongo, ed è pure una sola sillaba: Guerra, Guida, Guado, Quatto, Quercia, Quitanza. 

L' V consonante è assai differente di suono dall' U vocale, però ricerca differente carattere, essendo molto simile al nostro B, e al ß greco. 

Da alcuni è detto aspirato del B; onde molte voci, or coll' uno si dicono indifferentemente, or coll' altro: Servare, Serbare: Nervo, Nerbo: Voce, Boce. Riceve dopo di se la R nella stessa sillaba, e in mezzo della dizione, ma con molto perdimento di suono: Dovreste, Cavretto, Sovrano. Avanti di se, nel mezzo della parola, e in diversa sillaba, consente la L, N, R, S: Malva, Convito, Serva, Disviato, benchè la S si truovi di rado nel mezzo della parola, è per lo più, e ne verbi composti, colla preposizion Dis, o Mis; ma sì ben nel principio molto frequente: Svenire, Svariare, Svinare. Deesi pronunziar la S, avanti all' V consonante, col suono sottile, o rimesso, quale nella voce Accusa, secondo che si dice nella lettera S. Raddoppiasi come l' altre consonanti, nel mezzo della parola: Avvivare, Ravvolto.

Tutte le suddette qualità, che intorno all' U s' osservano nella Lingua Toscana, si considerano eziandio nella Provenzale, fuorchè l' ultima del raddoppiarsi, come si può vedere da quelche abbiamo notato di sopra nelle lettere B, F, O, P. Quando però è vocale, e che gli preceda il g, seguitandogli appresso o l' e, o l' i, allora non si pronunzia affatto, e solo serve per dimostrare, che il g è di suono muto, come guerra, guixols (cicerchie) e simiglianti, che si profferiscono da noi, come se da' Toscani fosse scritto gherra, ghisciols, di modo, che, le nostre sillabe Gue, Gui, corrispondono al Gh rotondo de' medesimi Toscani, di che vedi nella lettera G.



X.


X. Nella nostra lingua non ha luogo, perchè nel mezzo della parola ci serviamo, in quel cambio di due SS: come Alexander Alessandro: e alle volte d' una S sola, come Exemplum Esemplo. Non può alla nostra lingua servire à nulla, se non se forse, per profferire que' pochi nomi forestieri, che cominciano da cotal lettera, come Xanto, per non avere a dir Santo, o veramente, per iscrivere alcune parole latine, usate da' nostri Autori: come Exabrupto, Exproposito.

Benchè questo carattere non abbia luogo nell' Idioma Toscano, come nota il Vocabolario, contuttociò se ne servirono gli antichi Toscani, trovandosi ne' MSS., exemplo, per esemplo, e simili; il che osservò il Salviati, allorchè disse ne' suoi Avvertimenti: Lo X hanno i moderni huomini nel volgar nostro, come dalla pronunzia, così dirittamente scacciato dalla scrittura, come troppo aspro, e discordante dalla natura delle nostre parole. Quantunque poi seguiti a dire: Ed anche nelle scritture del miglior secolo rade volte si vede usato da chi la nostra lingua parlava naturalmente; ma fu più tosto usanza de' letterati. 

Nel nostro Provenzale però l' adoperiamo per due sorte di suoni; perchè posto in voci tolte dal Lazio, e che abbiano la preposizione latina ex, come exemple, exili, ha lo stesso suono, che avea presso i Latini, cioè quello del cs, quantunque non sia in questa parte necessario, poichè si potrebbe scrivere ecsemple, ecsili, pronunziando la s nel medesimo suono di quella della voce rosa; siccome potevano eziandio i medesimi Latini scrivere così, cioè ecsemplum, ecsilium, in cambio di exemplum, exilium. Onde Quintiliano al lib. I. cap. 4. 

Et nostrarum X littera ultima est, qua tamen carere potuimus, quae non quaesissemus. Nell' altre voci poi, ha egli il suono del C chiaro, e sonante, di maniera che, le nostre sillabe Xa, Xe, Xi, Xo, Xu, si profferiscono come le Toscane Cià, Ce, Ci, Ciò, Ciù.

Egli è ben vero, che pure nelle nostre scritture del miglior tempo rade volte si vede usato, come si osserva nel leggere i Codici Provenzali della Libreria Vaticana, conciossiachè gli antichi Scrittori adoperavano per lo più in sua vece le lettere, o la sillaba is, e scrivevano eisemple, laisar (lasciare). E dico per lo più, perchè ancora laxar, e laixar ho trovato tre, o quattro volte nel Cod. Vat. 3208., particolarmente a car. 112., e 128. e così exemple talora, come si vede nel Tratt. Virt. a c. 170. Si truova ancora usato qualche volta lo x in vece dell' s, verbigrazia ricx per rics, come apparisce nel Cod. 3206. della medesima Vaticana, a c. 57.;e braxa per brasa (brace) a car. 73., e Marxella per Marsella, come Folquet de Marxella, che si legge nel medesimo Codice 3206., e dexinflats per desinflats (cioè sgonfiati) in Guid. Cauliacc. Cirug. a c. 113. E di quì si rende in parte manifesto, che l' ortografia di quei tempi era varia molto, e incostante, come abbiamo avvertito altrove.


Z.


Z. Lettera di suono molto gagliardo, e assai in uso, appo i Toscani: ha due suoni diversi, o forse più, secondo gli accoppiamenti dell' altre lettere, colle quali ell' è collocata, ma due sono i più principali, e più conosciuti: il primo più intenso, e gagliardo, da alcuni detto aspro, e più simigliante al primo, che abbiamo assegnato alla lettera S, e a noi più frequente: come Prezzo, Carezze: Zana, Zio: l' altro più sottile, e rimesso, chiamato da altri rozzo da noi meno usato, e più simile al secondo suono della S: come Rezzo, Orzo, Zanzara, Zelo; onde per fuggir la mala pronunzia, carattere differente le si vorrebbe. Posta la Z davanti all' I, alla qual seguiti altra vocale, vi fuchi disse non raddoppiarsi giammai, e sempre profferirsi col primo suono detto di sopra: come Letizia, Astuzia, Azione, Orazione, Invocazione. Vi ha pure

chi continuo si ferve di questo carattere raddoppiato, scrivendo Letizzia, Annunzzio. Molto in somma ne è stato detto da nostri Gramatici. A noi parendo, che in alcun luogo si profferisca più semplice, e pura di suono, altrove con maggior émpito, e forza, così appunto, come l' altre consonanti, abbiamo usato nel primo caso usar la z scempia, nella seconda maniera porla doppia, come giusto l' altre lettere consonanti, scrivendo Vizio, Carrozziere, ec. Dopo di se non riceve niuna delle altre consonanti, nè in principio, nè in mezzo della parola. Avanti di se, in mezzo di dizione, e in diversa sillaba, consente la L, N, R: come Balzo, Lenza, Scherzo. Raddoppiasi nel mezzo delle parole, come tutte l' altre consonanti, benchè differenza grande di suono non si senta dal pronunziarla doppia, o scempia, essendo, come s' è detto di suono gagliardo. Ma se per via di riprova si converta la Z in S, come lettera sua propinqua, e come l' usano in alcuni luoghi di Toscana, si troverà, che dove la Z dee andar doppia, la S farà doppia come Palazzo, Palasso: Piassa, Piazza, e dove la Z dee ire scempia, ancora si troverà la S scempia: come Letizia, Letisia: Orazio, Orasio: Fabrizio, Fabrisio: però con questa regola la Z andrà sempre scempia, dove, convertita in S si troverà una sola S, il che addiviene, quasi sempre, che alla Z seguita l' I, che allato abbia la vocale: Pur vi ha chi scempia pone la Z in altre poche, cioè in quelle voci, le quali hanno la penultima sillaba breve, e nell' ultima la Z: come Poliza, Obizo, Previza: perciocchè, convertita la Z in S, si dirà Previsa, Polisa, Obiso, ec. Le quali voci, nella nostra lingua, oltre a' nomi propri, non arrivano forse al numero di tre.

Nel Provenzale ha solamente il suono sottile, o rimesso, ed è il medesimo del secondo, che abbiamo assegnato alla S, cioè come quello della s di rosa, e della ultima s di esposa; verbigrazia zel, zelos, zelador, azul (azzurro) azanya (prodezza) che così ancora con questo suono pronunziano la Greca *gr oggidì i Gramatici Greci, in riguardo di ciò, che di essa, e della sua dolcezza sopra tutte l' altre lettere, scrisse Quintiliano. Alla zeta di questo suono chiama il Salviati ne' suoi Avvertimenti, Z semplice, per differenziarla dall' altre, che da esso lui sono appellate, cioè l' aspra, come in Zoppo; la sottile come in Letizia; e la rozza, come in Zaffiro. Ecco le sue parole, al lib. 3. cap. I. particell. 11 (o 2). Delle zete, l' aspra, e la rozza composte lettere sono, ma non doppie, sì come pur ora abbiam detto: ma la semplice, nè doppia, nè composta, e per questo di semplice le abbiamo dato il nome. Questa da' nostri si reputa per S, e col segno della S, poichè non ha propria figura, e distinta, la scriviamo tutti comunemente. 

Il suono di essa si sente in rosa, nome di fiore, in esemplo, e nella fin di sposa, e mille altre. Chiamanla alcuni S dolce, per distinguerla dalla propria S, che si pronunzia in rosa, che deriva da rodere, in sarei, in pensoso, in cassone, e infiniti di questo genere: la qual lettera è strepitosa, ed ha assai del fischiante. Ma a noi sembra, che quella prima, molto più, che della S, della natura sia partefice della Z, e di Z più che di S il nome se le convenga: ec. Onde Benedetto Buommattei Tratt. 3. cap. 16. “Il Cavalier Salviati, huomo in questa facoltà versatissimo; assegna quattro suoni alla Z. Aspro; Rozzo; Sottile; e Semplice. Semplice chiama egli quel suono, che si sente in questo secondo carattere di Esempio; e nel quarto di Sposa. Egli ha ragione, perchè in vero ella ha più suono di Zeta, che di Esse: ma noi, che non curiamo altro che introdurre ad una certa cognizione praticabile; l' abbiam voluta nominare Esse: poichè con S, e non con Z si segna. Sottile dice quella Z, che si sente in Letizia; Diligenzia; Dovizia, il suon della quale è tanto simile a quell' dell' Aspra, ch' io non giudico bene il distinguerla in questo luogo; come benissimo tengo l' averla egli distinta in quello. Due pertanto diciamo noi esser le Z, e per multiplicar manco termini, che si può, la dividiamo in Gagliarda, e Rimessa, racchiudendo sotto la gagliarda, e l' Aspra, e la Sottile: e per rimessa intendo la Rozza. Gagliardo suono pertanto si sente, che anno tutte queste Z di Zazzera; di Mazze; di Pazzi; di Zezzo; di Zucchero; di Mestizia, e di Giudizio. Rimesso si sente in queste di Zafferano; Zeffiro; Razzi; Zotico; e Mezzule. Tra la gagliarda, e la rimessa è tanto sensibil differenza, ch' io non perderei tempo a provarlo: atteso che la gagliarda si forma appuntando la lingua a' denti; come per formare il T, e fischiando come a profferir l' S. Onde meritamente questa Z si dice composta di T, e di S, dico della S gagliarda. La Z rimessa si forma con batter la lingua ne' denti, come quando si vuol pronunziare il D, e poi con aggiugnervi il fischio della S rimessa.”

Ne' MSS. Provenzali della Vaticana, ed in altri, si vede adoperata non solamente per l' una, e l' altra S, e per lo C infranto, come in vece dell' Esse gagliarda, Canzò per Cansò; in luogo del C infranto, come zo per ço (ciò) Ma eziandio in cambio del C duro; e del D; e del G; e del T, trovandosi indifferentemente scritto: cantar, zantar; cambra, zambra: e tardar, tarzar; veder, vezer: e gent, zent (gente) e meteis, mezeis (medesimo) dret, drez (diritto) e somiglianti.

E quindi è, che nelle Scritture del buon secolo della Lingua Toscana si truova pure scambievolmente usato da' Toscani, a imitazione de' Provenzali, come in parte si è dimostrato di sopra alla lettera D; bersaglio, berzaglio: solfa, zolfa: solfo, zolfo. E ardente, arzente: gradire, grazire: verdura, verzura. E pontare, ponzare: fortore, forzore; antivenire, anzivenire: ammorzare, ammortare. E così impetrazione, impetragione: incantazione, incantagione: e zente per gente: zambra per cambra, o camera: zo per ciò, ec.

Fra i diversi caratteri, che il Cavalier Gio. Giorgio Trissino Vicentino intentò d' aggiugnere all' Alfabeto Italiano, per distinguere, e rappresentare la pronunzia delle parole, come apparisce da' suoi Dubbj Gramaticali stampati in Vicenza l' anno 1549., particolarmente dal Dubb. 2. Se avendo la pronunzia Italiana bisogno di nuove lettere, di quante, e quali ne ha di bisogno; uno si fu questo ç, chiamato da noi C trancada (cioè C infranto, come abbiam detto alla lettera C) col quale volle accennare la pronunzia, o il suono della Z rimessa. Adunque (dice egli nel citato Dub. 2.) ritrovandosi nell' Alphabeto questi dui characteri Z ç, l' uno de li quali si dimanda Zea, e l' altro çeta, potremo assignare questa Charactere çeta a lo elemento più ottuso, e simile al G sì nel majuscolo, come nel corsivo; scrivendo çenit, çoilo, meço, e gli altri simili elementi. L' altro poi, che è il Zea assegnaremo al più acuto, o kiaro elemento, cioè a quello che è simile al C Lombardo, come zuccaro, zazara, avezo, e simili. Veggasi però su questo affare dell' aggiugnimento di nuovi caratteri, quel ch' è stato rinvergato nella Prefazione al num. LVI.

(Sigue en Catalogo)

TAVOLA DELL' ABBREVIATURE, La Crusca Provenzale

TAVOLA DELL' ABBREVIATURE,

PER ORDINE D' ALFABETO:

Dove si dà conto delle qualità degli Autori, o Libri d' Autori citati per entro l' Opera, e dove si ritrovino, o chi ne sieno i Padroni.

La Crusca Provenzale di Antonio Bastero

Avvertisca il Lettore:

I. Che avanti alla dichiarazione dell' abbreviature de' nomi, e cognomi de' Poeti dell' età d' oro, di cui abbiam ragionato nella Tavola antecedente, abbiamo quì posta la lettera V., che vuol dire, che si veda essa prima Tavola alla quale ci rimettiamo sì per quello che riguarda alle loro opere allegate, come per le notizie appartenenti alle loro Vite,

II. Che dopo l' abbreviature de' Poeti de' Codici Vaticani, cioè dal Cod. segnato num. 3204. al 3208., abbiamo anche poste per entro l' Opera l' abbreviature indicanti essi Codici, e alle volte abbiamo accennata la sorta, o spezie di poesia citata, particolarmente non essendo Canzone, poichè quando non s' accenna la spezie di componimento, s' intende, per lo più, che è Canzona, ancorchè talora questa pure abbiamo specificata. Tutto ciò si renderà chiaro con queste preliminari dichiarazioni, verbigrazia: Alfons. I. R. Arag. C. V. 4. 94. I. cioè Alfonso I. Re d' Aragona (N. E. Alfonso II) nella sua Canzone del Cod. Vatic. 3204. a car. 94. colonn. I. Alfons. I. R. Arag. Tenz. con Girald. Bornel. C. V. 4. 140. t. 2. Detto nella Tenzone con Giraldo di Bornello, Cod. Vat. 3204. a c. 140. tergo colonn. 2. Piet. Card. Serm. C. V. 4. 21. 2. Pietro Cardinale in un suo Sermone del Cod. Vat. 3204. a car. 21. colonn. 2. Girald. Bornell. Canz. C. V. 4. 15. Giraldo di Bornello in una Canzone del Cod. Vat. 3204. a c. 15. Ug. S. Sir. Servent. C. V. 4. 183. I. Ugo di San Siro in un Serventese del Cod. Vat. 3204. a c. 183. colonn. I. Arn. Dan. Sest. C. V. 5. 90. t. Arnaldo Daniello nella sua Sestina del Cod. Vat. 3205. a c. 90. tergo. Gugl. Fig. Canz. S. Sepolc. C. V. 5. 165. Guglielmo Figuera in una Canzone pel ricuperamento del S. Sepolcro, o di Terra Santa, nel detto Cod. 3205. a c. 165. Piet. Card. C. V. 5. 155. t. Pietro Cardinale in un suo Componimento del medesimo Cod. 3205. a car. 155. tergo. Folc. Marsig. C. V. 6, 27. t. Folchetto da Marsiglia in un suo Componimento del Cod. Vat. 3206. car. 27. a tergo. Arn. Dan. Canz. C. V. 7. II. t. 2. Arnaldo Daniello in una sua Canzone del Cod. Vat. 3207. c. II. terg. colonn. 2. Gugl. Fig. Cob. C. V. 7. 52. I. Guglielmo Figuera, in una Cobbola nel Cod. Vat. 3207. a c. 52. colonn. I. Gugl. S. Desid. Canz. C. V. 7. 27. t. 2. Guglielmo di San Desiderio in una Canzone del Cod. Vat. 3207. car. 27. a terg. Colonn. 2. Piet. Vid. Servent. C. V. 7. 26. I. Pietro Vidale in un Serventese del detto Cod. ec. Folc. Marsig. C. V. 8. 79. Folchetto da Marsiglia in una Canzone del Cod. Vat. 3208. a car. 79.


A.


Ach Simm. Pist. Volgarizzamento della Pistola di Achille Simmaco, e di Teodosio, scritta a Tolomeo Re d' Egitto, nella quale si discorre del nutrimento degli uccelli cacciatori, o vero di rapina; e della cura di tutte le loro malattie. Presso la Raccolta degli scrittori, o de' libri, che trattano di simili uccelli, fatta da Niccolò Rigalzi, stampata in Parigi 1612. Questo Volgarizzamento fu estratto dalla Real Biblioteca Medicea; e pare che fosse stato dettato nel secolo XII., avvegnachè la copia impressa sia scorretta, e forse da' copiatori ammodernata poco a proposito.

Adal. Porc. V. Adalasia di Porcaraga. 

Add. Addiettivo. 

Adim. Neg. V. Adimaro il Negro. 

Alb. Amiell. V. Alberto Amiello. 

Alb. Cail. V. Alberto Cailla. 

Alb. March. V. Alberto Marchese de' Malespini.

Alb. Pogg. V. Alberto di Poggibotto. 

Alb. Sist. V. Alberto di Sisterone.

Alf. I. R. Arag. V. Alfonso I. Re d' Aragona. (N. E. Alfonso II) 

Alf. IV. R. Arag. Alfonso IV. Re d' Aragona, e Conte di Barzellona. La Proposizione, che fece nella Dieta generale degli Stati di Catalogna l' anno 1431. Presso la Cronica di Pietro Michele Carbonelli a c. 255. 

Am. Belved. V. Amerigo di Belvedere. 

Am. Ping. V. Amerigo di Pingulano. 

Am. Sarl. V. Amerigo di Sarlacco. 

Ans. Agugl. V. Anselmo d' Aguglione. 

Ans. Faid. V. Anselmo Faidit. 

Ant. Mar. Salvin. Osserv. Il mio riveritissimo Signor Abate Anton Maria Salvini Gentiluomo Fiorentino. Le sue Osservazioni, e Note sparse per entro il margine della sua copia del Vocabolario della Crusca, delle quali mi favorì egli medesimo, raccolte in un quinterno, e trascritte di sua mano propria, con questo titolo: Vocaboli, e Maniere Provenzali.

Ant. Mar. Salvin. Postill. Il Sig. Ab. Salvini suddetto, nelle sue Postille marginali sparse per entro il suo Codice antico MS. titolato: Istorias, e Conquestas del Reyalme d' Aragò, e Principat de Catalunya, compiladas per lo honorable Mossen Pere Tomich Cavaller &c. Vedi alla lettera P. l' abbreviatura Piet. Tom. 

Ant. Riccard. Tratt. Conosc. Pols. Antonio Riccardo Dottor di Medicina, nel suo Trattato della conoscenza de' polsi. Testo a penna della Libreria Vaticana nel Codice 4797. Se ne segnan le carte. 

Ant. Riccard. Tratt. Orin. Detto nel suo Trattato di Orina. Pure nel predetto Cod. 4797. Il numero dice le carte.

Arn. Catal. V. Arnaldo Catalano.

Arn. Dan. V. Arnaldo Daniello.

Arn. Marav. V. Arnaldo di Maraviglia.

Arn. Plag. V. Arnaldo Plage. 

Arn. Tint. V. Arnaldo di Tintignacco. 

Arn. Villanu. Reggim. Pestil. Il Reverendo Maestro Arnaldo di Villanuova, nel suo Trattato del Reggimento, e modo di procedere in tempo di pestilenza. Testo a penna della Biblioteca Vaticana, nel predetto Cod. 4797. a car. 287. incominciando col seguente titolo: 

En nom de Deu sia, e de la umil Verge Madona Santa Maria, comença un petit tractat per lo Reverent Mestra Arnau de Vila nova sobre lo Regiment quis' deu tenir en temps de hepidemia ço es en temps de pestilenza. Fiorì questo Autore nel principio del secolo XIV., e ancora prima, come si ricava dal Libro di Cirugia di Monsignor Guido Cauliacense, o di Cauliacco (di cui si parlerà appresso alla lettera G. nell' abbreviatura Guid. Caul. Cirug.) a car. 5. con queste parole: 

En aquest temps mestra Arnau de Vilanova en cascuna facultat o siensia (intende della Medicina, e della Cirugia) ha florit e feu moltas belas Obras. Di lui fa menzione la nostra Proclamazion Cattolica nel S. 15. così: “Finalmente quando se perdieran todas las sciencias, artes, y facultades se restaurarian en aquellos tres famosos Filosofos Catalanes, Juan de Rupecisa, Arnaldo de Vilanova, y Raymundo Lulio... Los dos primeros Filosofos Catalanes fueron tan celebres en la consideracion de las causas naturales, que fueron tenidos por prodigiosos.”

Aus. M. A. 9. Ausias March nella Cantica d' Amore, capitolo 9. 

Aus. M. Moral. I. Detto nella Cantica Morale, capitolo I. 

Aus. M. Mort. 8. Detto nella Cantica di Morte, cap. 8. ec.


B.


Bartol. Giorg. V. Bartolommeo Giorgio.

Berlingh. Pal. V. Berlinghieri di Palazzuolo.

Berlingh. Poggiov. V. Berlinghieri di Poggioverde.

Bern. Bard. V. Bernardo della Barda. 

Bern. Vent. V. Bernardo di Ventadorno.

Bertr. Alam. I. Vedi Bertrando di Alamanone I.

Bertr. Alam. III. V. Bertrando d' Alamanone III.

Bertr. Born. 160. I. V. Bertrando del Bornio. Il primo numero indica le carte del Cod. Vat. 3204., e il secondo il colonnello. 

Bertr. Born. figl. V. Bertrando del Bornio il Giovene, cioè il figlio del suddetto Bertrando.

Bertr. Gord. V. Bertrando di Gordone.

Bertr. Marsig. V. Bertrando di Marsiglia.

Bertr. Pogg. V. Bertrando del Poggetto.

Blancas. V. Blancasso.

Blancasset. V. Blancassetto.

Bonif. Calv. V. Bonifazio Calvi. 

Bonif. Cast. V. Bonifazio di Castellana.

Buonaf. V. Buonafede. 



C.

Caden. V. Cadenetto.

Cant. funeb. Canto funebre. 

Cant. Mad. Canto in lode della Madonna.

Cant. Spirit. Canto spirituale.

Canz. Canzone.

Canz. S. Sepolc. Canzone pel ricuperamento del S. Sepolcro, o di Terra Santa.

Capit. G. II. R. Arag. Principat. Catal. Capitolazione tra D. Giovanni II. Re d' Aragona, e Conte di Barzellona, d' una banda, e il Principato di Catalogna, dell' altra banda, conchiusa, e sottoscritta a' 21. di Giugno dell' anno 1461. Presso la Cronica di Piermichele Carbonello, stampata in Barzellona nel 1547., fogl. 238. Si cita a carte, e a colonnelli.

Castell. V. Castellozza Gentildonna d' Alvernia.

Castigl. In Castigliano.

Cent' occhi II. Ordin. Cent' occhi Conte di Bigorra il II. di questo cognome detto Centolh (N. E. Céntulo). Un frammento del Proemio di una Ordinazione, che fece nel principio del secolo XII. pel buon governo, e quiete della sua Contea, e Valle di Bigorra. Appresso l' Arcivescovo Pietro della Marca, nella sua Istoria di Bearne lib. 9. cap. 7., esistente nella Libreria Casanattense. 

Cercam. V. Cercamondo. 

Cob. Cobbole, sorta di Poesia. 

Conquist. Minorc. Conquista dell' Isola di Minorca, o Minorica, inserita da Pietro Michele Carbonelli nella sua Cronica a cart. 83. con questo titolo: Aquesta es la Conquesta feta per lo molt alt Senyor Rey Namfos de la Ylla de Manorcha. Co i numeri se ne accennano le carte, e i colonnelli.

Constituz. Arag. Constituzioni del Regno d' Aragona, dette nel dialetto Aragonese: Fueros, y observancias del Reyno de Aragon. Si citano solamente quelle, che sono scritte in puro, e netto Linguaggio Provenzale, ovvero Catalano; tralasciandone molte, che sono piene di vocaboli nostrali, come sono comunemente quelle fatte prima dell' unione delle due Corone, Castigliana, ed Aragonese, nelle quali si legge: meytat, mateix, conexença, menestral, après, muller, fillo, dreyto, doncas, millor, entrò, devant, e avant; encara, iudge, agenollarse, dins, part, proveír, dito, susdito, e sobredito; absent, realme, periglo, consellar, jurament, instrument, impediment, senyaladament, primerament, semblantment, grandment, personalment, e cento più, che oggigiorno gli Aragonesi dicono alla Castigliana, mitad, mismo, conocimiento, e cognizion; oficial, o obrero; despuès, mujer, hijo, derecho, pues, mejor, hasta, delante, aun, juez, arrodillarse, dentro, parte, proveer, dicho, sobredicho, absente, reyno, peligro, aconsejar, juramento, instrumento, impedimento, particularmente, primeramente, semejantemente, grandemente, personalmente ec. Della impressione che delle suddette Constituzioni ne fu fatta in Zaragozza da Pietro Cabarte l' anno 1624. ve n' è un esemplare nella Biblioteca Casanattense. 

Constituz. Bearn. Costituzioni del Vescontado di Bearne fatte prima dell' anno 1080. Presso Monsignor Pietro della Marca suddetto nella sua mentovata Istoria di Bearne fogl. 545. ediz. Parigi 1640.

Constituz. Catal. Le Costituzioni di Catalogna. Si allegano solamente le antiche. Della compilazione, che ne fu fatta verso 'l fine del secolo XVI. ve n' è un' esemplare nella Libreria Barberina, e di questa edizione se ne citano talora i volumi, e le carte.

Constituz. Olor. Costituzioni di Olorone, Terra sotto la Contea di Bigorra, fatte nel 1080. Appo il suddetto della Marca nella sua citata Storia di Bearne.

Cont. Ang. V. Il Conte d' Angiò. 

Contes. Di. V. La Contessa di Dia. 

Cont. Fiand. V. Il Conte di Fiandra. 

Cont. Imp. V. Il Conte d' Impória, o Impúria.

Cont. Poet. V. Il Conte di Poetù. 

Cont. Provenz. V. Il Conte di Provenza

Cont. Rod. V. Il Conte di Rodes. 

Cont. Tolos. V. Il Conte di Tolosa. 

Costum. Sol. I Costumi della Viscontea di Sola. Stanno nel secondo tomo de i Costumi generali, e particolari del Regno di Francia, o della Gaule, compilati, ed illustrati dall' Avvocato Carlo del Molino, e da altri Giureconsulti, stampati in Parigi 1581. esistenti nella Casanattense

Si citano a libri, e a capitoli. 

C. V. 4. 2. t. I. Codice Vaticano 3204. a c. 2. tergo colonn. I. 

C. V. 5. I. t. Cod. Vat. 3205. a c. I. terg. 

C. V. 6. 8. Cod. Vat. 3206. a c. 8. 

C. V. 7. 7. Cod. Vat. 3207. a c. 7. 

C. V. 8. 2. 2. Cod. Vat. 3208. a c. 2. colonn. 2.


D.

Delf. Alv. V. Il Delfino d' Alvernia.

Deud. Pr. V. Deudo di Pradas. 

Diminut. Diminutivo. 

Docum. B. Viv. Documenti per ben vivere, e morire. MS. della Vaticana nel Cod. 4799. Se ne segnan le carte.

Durant. V. Durante Sarto di Paernas.


E.


EBL. Uz. V. Eble d' Uzez. 

El. Barg. V. Elia di Bargiuolo. 

El. Car. V. Elia Carello.

El. Font. V. Elia Fontesalata. 

El. Uz. V. Elia d' Uzez. 

Espos. Comand. D. Esposizione de' Comandamenti della Santissima Legge di N. S. Iddio. MS. Vaticano nel Codice 4799. Se ne segnano le carte. 

Esp. del Pat. nost. Esposizione del Paternostro. Testo a penna della Vaticana, nel citat. Cod. 4799. I numeri denotano le carte. Il Vocabolario della Crusca cita pure con queste medesime abbreviature Esp. del Pat. nost. un Trattato MS. della Libreria Strozzi.

Espos. Salm. Penit. Esposizione de' Salmi Penitenziali. MS. della Vaticana, nel predetto Cod. 4799. Se ne citan le carte.


F.

Feder. I. Imper. V. Federigo I. Imperadore.

Feder. III. R. Cic. V. Federigo III. Re di Cicilia.

Ferr. Nunn. Proverb. Ferrando Nunnez, o vero di Nugnez. La sua Compilazione di Proverbi delle più nobili lingue volgari, particolarmente della Castigliana, e della Catalana. Stampata in Salamanca da Giovanni Casanova 1555. in foglio, con questo titolo: Refranes, o Proverbios en Romance, que nuevamente colligiò, y glossò el Comendador Hernan Nuñez, Professor eminentissimo de Retorica, y Griego en la Universidad de Salamanca, puestos por la orden del A. b. c. 

Folc. Marsig. V. Folchetto da Marsiglia.

Folc. Rom. V. Folchetto di Romano. 

Franc. Fontan. Rim. Il Dottor Francesco Fontanella. Le sue Rime manoscritte.

Franz. In Franzese.

Fr. Jac. Casul. Fra Jacopo di Casules dell' Ordine de' Frati Predicatori. Il suo Libro intitolato degli Scacchi. Codice antico MS. della Libreria Vaticana, segnato numero 4801. Se ne dinotan le carte. L' Autore compose il Libro nell' idioma Latino, e poi il trasportò in Provenzale, come apparisce dal titolo, con queste parole: Comença lo prolec d' aquest Libre apellat Libre dels Escacs, ordenat per Fra Jaume de Casules del Orde dels Frares Prehicadors qui aquel componè, e trasladà segons se segueix: E feu ho en Lati ab molt bel original. 

cioè: Comincia il Prologo di questo Libro appellato Libro degli Scacchi, ordinato da Fr. Jacopo di Casules dell' Ordine de' Frati Predicatori, il quale lo compose, e traslatò nella maniera, che segue: E lo fece in Latino con bellissimo originale. - E dappoi fu anche trasportato in Toscano, ed allegato dagli Accademici della Crusca ne' loro Vocabolari coll' abbreviatura: Fr. Jac. Cess. cioè: Trattato degli Scacchi di Fra Jacopo da Cessole. MS. del già Francesco Venturi. Questo Codice Vaticano è in quarto, e il Libro è diviso in quattro trattati, contenenti fra tutti 113. carte.


G.


Gar. Br. V. Garino il Bruno. 

Gar. Dap. V. Garino Dapchier. 

Gast. M. Richiest. Gastone di Moncada Visconte di Bearne, e Signore di Moncada, e di Castel-Vecchio. Un' atto di Richiesta, che fece nel 1259. contra il nobile Barone Amaneo Lievretto, detto lo noble Barò Amaneu Lebret. Presso Monsignor della Marca nella sopraddetta sua Istoria di Bearne fogl. 607. 

Geneal. Cont. Tol. Genealogia de i Conti di Tolosa, cavata da un' antico MS. in pergamena, co' ritratti de' medesimi Conti. Presso Guglielmo Catel nella sua Storia degli stessi Conti Tolosani, stampata in Tolosa da Pietro Bosco l' anno 1623., esistente nella Libreria Casanattense. Il numero accenna le carte.

Gio. I. R. Arag. Ordin. Giovanni I. Re d' Aragona in una sua Ordinazione, che fece nel 1388., contenente: Que nengu de Casa del Seg. Rey gos tenir fembra en bordel, cioè: Che niuno della Corte, e Casa del Sig. Re ardisca di tener femmina in bordello. Presso la Cronica di Pietro Carbonello a cart. 206.


Gio. Alb. V. Giovanni d' Albuzone. 

Gio. Mart., e G. Mart. Il Cavalier Giovanni, o Giovannotto Martorelli, detto Mossen Joanot Martorell, Cavaller. Il suo eloquentissimo Libro intitolato Tirant lo Blanc (Tirante il Bianco) che incominciò di scrivere, o comporre a' 2. di Gennajo 1460., come dice nella Dedicatoria. Stampato in Valenza del 1490. in foglio, del quale se ne conserva un' esemplare nella Libreria della Sapienza, o dello Studio di Roma. Se ne citano i Capitoli. Avverto, che non avendo potuto l' Autore finire del tutto detto Libro, per esser uscito di vita nel tempo, che lo componeva, benchè non gli mancasse da fare, che la quarta, ed ultima parte; lo terminò poi il Cavalier Martin Giovanni di Gualba, siccome questi lasciò scritto sul fine della medesima Opera; onde sotto lo stesso nome del Martorelli, va compreso, ed allegato per li capitoli il supplimento, o il fine del Gualba, senza farne specificazione. Questo Libro, per quel che appartiene a purità, ed eloquenza di lingua, debbe avere il primo luogo tra i nostri Prosatori, nè più, nè meno, come il Decamerone fra i Toscani. 

Gio. Stef. V. Giovanni Stefano. 

Giord. Bon. V. Giordano Bonello. 

Gir. Bornel., e Girald. Bornell. V. Giraldo di Bornello. 

Gir. Calanz. V. Giraldo di Calanzone. 

Gir. Luc. V. Giraldo di Luco. 

Gir. Ricc. V. Giraldo Ricchieri. 

Gir. Ro. V. Giraldo il Rosso.

Gir. Salag. V. Giraldo di Salagnacco. 

Giuff. Pont. V. Giuffredo di Ponte. 

Giuff. Rud. V. Giuffredo Rudello. 

Gloss. P. L. Glossario Provenzale Latino. Testo a penna nella Libreria di S. Lorenzo, e nell' Archivio dell' Opera di S. Maria del Fiore, o della Chiesa Cattedrale di Firenze. 

Gloss. P. T. Glossario Provenzale Toscano. MS. della predetta Libreria di S. Lorenzo di Firenze, al Pluteo 41.

Gom. Pal. V. Gomiero, e Paladino. 

Gr. In Greco.

Gram. Provenz. Gramatica Provenzale. Testo a penna nella suddetta Biblioteca Laurenziana, e nell' accennato Archivio dell' Opera di S. Maria del Fiore. Di questa Gramatica, di cui si è fatta menzione sul

principio della Prefazione, abbiamo voluto darne al curioso Lettore in questo luogo il seguente faggio, o la prima pagina colla stessa ortografia de' suddetti testi.


Incipit Donatus Provincialis.


Las oit partz (le otto parti) que om troba en (a) gramatica (cioè nella Lingua Latina) troba om en uulgar (vulgar) prouenzal (provenzal). zo es nom. pronom. uerb. aduerbe. particip. coniunctioz. prepositios. interiectios. S. Nom es apelatz per ço que significa substantia ab propria qualitat o ab comuna. E largamen totas las causas (tutte le cose) a las quals Adams pauset noms poden esser noms apelladas. E a nom cinq causas (cinque cose) species. genus. nombre. figura. cas. S. Species o es primitiua. o es deriuatiua. primitiuus es apelatz lo nom que es per se. e no es uenguz dalqu (u con rayita encima) nom ni dalqu verb. si cum (siccome) es bontaz. Deriuatius nom es aquel que uen daltre loc si cum bos que uen de bontat que bos non pot om esser ses (senza) bontat. S. Genus es de cinq maneras. Masculis. Feminis. Neutris. Comus. Omnis. Masculis es aquel que aperte (leggi apertè, cioè appartiene) alas masclas causas solamen. si com boz. mals. fals. Feminis es aquel que perte (lo stesso, che apertè) alas causas feminils solamen, si cum bona. bela. mala. e falsa. Neutris es aquel que no perte al un ni al autre. sicum gauz (gaudio) e bes. Mas aici no sec lo uulgars la gramatica. (hic non sequitur uulgare gramaticam dice, e spiega la chiosa interlineale Latina, che si legge negli stessi testi MSS.) Els neutris substantius (E i neutri sustantivi) se diçen aici cum si fossen masculis. si cum aici. Grans es lo bes que aquest ma fait. 

E grans es lo mals que mes uengut de lui. Comun son aquelh que pertenen al mascle. e ala fembra ensems. si cum son li particip que fenissen in ans. uel in ens. queu posc dire (ch' io posso dire) Aquest caualers es prezans. Aquesta domna es presans (di pregio, pregiosa) Aquest cavalers es avinens (avvenente) Aquesta domna es avinens. Mas el nominatiu plural se camian (Ma nel primo caso del numero del più si cangiano, si mutano) daitant que conven adire. Aqelh caualer son auinen. Aquelas donas son avinens. Omnis es aquel que perte al mascle, e ala fembra. e al neutri ensems. qeu posc dire. Aquest caualiers es plasens. Aquesta dona es plazens. e aquest bes mes plaisens. S. Nombres es singulars o plurals. singulars quan parla duna causa solamen. plural quan parla de doas o de plusors. S. Feigura o es simpla, o composta. Simpla si cum. Coms. Composta si cum Vescoms. ques parz composta zo es apostiza de ves e de coms. § Li cas son seis. Nominatius. Genitius. Datius. Accusatius. Vocatius. Ablatius. 


(a) Per Gramatica intesero gli antichi la Lingua Latina, e questo luogo lo manifesta; non essendovi in quei tempi altra Gramatica se non di essa Latina Lingua, conforme osservano i Signori Conte Giovambatista Casotti Canonico Pratese, Abate Anton Maria Salvini, e Abate Salvino Salvini suo fratello Canonico Fiorentino, nelle loro dottissime, ed eruditissime Annotazioni sopra alcune voci, e maniere di dire della Cronica di Buonaccorso Pitti stampata in Firenze 1720., 2 car. 52. num. 6.


Lo No. se conois per lo. si cum. Lo reis es uenguts. Ge. per de si cum. Aquest destrers es del rei. Da. per a. si cum. Mena lo destrier al rei. &c. E in fondo all' ultima pagina si legge: Si quis invidorum in mei praesentia h. opus redarguere praesumpserit de scientia mea tantum confido, quod ipsum convincam coram omnibus, manifestè sciens, quod nullus ante me tractatum ita perfectè super his verò ad unguem ita singula declaravit. Cujus Ugo nominor, qui librum composui precibus Jacobi de Mota, & Domini Coram Zuchii de Sterleto, ad dandam doctrinam Vulgaris Provincialis, et ad discernendum verum à falso in dicto Vulgare. Questa nostra Gramatica credo, che sia la prima, che sia stata fatta tra le lingue volgari. 

Gram. P. Lo stesso, che Gram. Provenz. 

Gugl. Adim. V. Guglielmo Adimaro. 

Gugl. Ancl. V. Guglielmo Anclier. 

Gugl. Bala. V. Guglielmo di Balaone. 

Gugl. Balz. V. Guglielmo del Balzo. 

Gugl. Berg. V. Guglielmo di Berghedano.

Gugl. Cabest. V. Guglielmo di Cabestano.

Gugl. Fig. V. Guglielmo Figuiera.

Gugl. Magr. V. Guglielmo Magretto.

Gugl. Montagn. V. Guglielmo di Montagnagotto.

Gugl. Raim. V. Guglielmo Raimondo.

Gugl. Rann. V. Guglielmo Rannuolo.

Gugl. Ros. V. Guglielma de' Rosieri.

Gugl. S. Desid. V. Guglielmo di S. Desiderio.

Gugl. S. Greg. V. Guglielmo di S. Gregorio.

Gugl. Torr. V. Guglielmo della Torre.

Guid. Cavagl. V. Guido di Cavaglione.

Guid. Caul. Cirug. Monsignor Guido di Cauliacco, natio della contrada 

d' Alvernia del Vescovado di Menda, Professore di Cirugia, e Maestro,   e Dottor di Filosofia, e Medicina nel celebre Studio della Città di Monpellieri. La sua Opera di Cirugia. MS. della Biblioteca Vaticana, Codice 4804. in foglio, con vaghe miniature, e bellissimo carattere, col seguente Titolo: En nom de Deu comença lo enventari, o collectori en part de Cirurgia, (a) (signo 7, et, &) de Medecina compilat, 7 complit en lay (a con virgulilla : lany, lañ) de nostre Senyor M. CCC. LXIII. per Guido de Cauliac Cirurgià Mestra en arts, 7 en medecina en lo nobla estudi de Monpayler. I numeri indican le carte. Questo insigne Dottore fu Medico, e Cappellano commensale di Papa Urbano V., come egli stesso lasciò scritto nella Prefazione della medesima Opera con queste parole, a cart. 5. S. E jo guido de cauliac sirugia mestra en medecina deles partides dalvernia del bisbat de menda, metge 7 capella comensal de nostron senyor lo P. P.  7 vistas moltas operacions e molts escrits dels demont nomenats autors majorment de G* (cioè di Galeno) car he aùts aytants libres com eran trobats en cascuna tralacio (a con virgulilla : tranlacio) y aquels estodiats ab aquela diligenza que he pugut e per molt temps he obrat en moltas parts e fas encara ara en avinyo en lay (lany) de nostre senyor. MCCCLXIII. en lo premer any del pontificat de nostron senyor Urbanus P. P. quint en lo qual any dels dits dels devant nomnats e delles mies esperiencias ab lajuda de mos companyons he compilada aquesta obra ec. 

Guid. Uz. V. Guido d' Uzez.

(a) 7. Di questo carattere, che nelle scritture volgari rappresentava la copula, o particella e, e nelle Latine la &, vedi i Deputati del 73, e il Salviati Avvertim. Ling. volum. I. lib. 3. cap. 4. partic. 7.


I.


Jac. Grill. V. Jacopo Grillo.

Jac. Rogg. I. I. V. Jacopo Roggio. 

Il primo numero denota le carte del Cod. Vatic. 4806., e l' altro il colonnello.

Isab. V. Donna Isabella. 

Istor. Vit. Ram. VI. C. T. Un frammento d' Istoria della Vita di Ramondo VI. Conte di Tolosa scritta sul principio del secolo XIII. Appo il Consigliere Guglielmo Catel nella sua Storia de i Conti Tolosani a cart. 262. ediz. Tolosa 1623. Questo Conte per essere stato capo, e fautore degli Eretici di quei tempi, fu dalla Santa Sede scommunicato, e privato de' suoi Stati; onde nella sua sepoltura vi fu scolpito il seguente epitaffio in Provenzale, come riferiscono le Istorie.

No hi ha home en la terra

Per gran Senhor que fos, 

Quem' getès de ma terra,

Si la Gleisa no fos.

Non v' è uomo nel Mondo

Per gran Signor ch' ei fusse, 

Chi mi gettasse da mia terra,

Se la Chiesa non fosse. 




L.

L. Latinamente, in Latino. 

Lanfr. Cic. V. Lanfranco Cicala. 

Lett. Ben. Saf. Lettera di Benedetto Safabrega, Ministro della Tesoreria del Re d' Aragona, scritta al Computista del Re, in data del 1439. Presso la Cronica di Pietro Carbonello a cart. 215.

Lett. B. V. G. Lettere di Monsignor Beringhieri di Cruylas Vescovo di Girona, scritte l' anno 1360. Testo a penna dell' Archivio della Chiesa di Girona.

Lett. M. C. E. Lettera di Donna Marchesa Contessa d' Empurias, e Viscontessa di Cabrera, scritta a Monsignor Don Pietro de' Visconti di Roccaberti Vescovo di Girona nell' anno 1325. MS. della Cancelleria della Chiesa di Girona.

Lett. P. V. G. Lettere di Monsignor Don Pietro de' Visconti di Roccaberti Vescovo di Girona scritte l' anno 1325. Testo a penna della Cancelleria della Chiesa di Girona. 

Lett. Regin. Mar. Lettere di Maria di Blois Regina di Gerusalemme, e di Sicilia, e Contessa di Provenza, scritte alla Città di Marsiglia, nel 1385. Stampate presso l' Istoria di detta Città del Consigliere Antonio di Ruffi, esistente nella Biblioteca Casanattense.

Lib. Medic. Libro di Medicina. MS. della Vaticana, Codice 4797. Si cita

a carte.

Lib. Salm. Libro de' Salmi. MS. Regio Alessandrino Vaticano. 

Lomb. V. Donna Lombarda.



M.


Manten. Scienz. V. I sette Mantenitori del gajo Savere, o della gaja Scienza.

Marcabr. V. Marcabruno. 

Marcoat. V. Marcoatto. 

Mart. R. Arag. Martino Re d' Aragona. La sua Proposizione, che fece nell' Assemblea generale degli Stati del Principato di Catalogna convocati nella Città di Perpignano nell' anno 1405. Appresso la Cronica di Piermichele Carbonelli a c. 251. 

Mar. Vent. V. Maria di Ventadore. 

Metaf. Metafora.

M. Giorg. V. Giorgio, detto Mossen Jordi.

Mol. V. Mola.

Mon. Montaud. V. Il Monaco di Montaudone.

Niccol. Tur. V. Nicoletto di Turino.


O.


Ogg. V. Oggiero.

Onor. Bon. Istor. Cont. F. Onorato Bonet nella sua Istoria de' Conti di Foix, scritta verso l' fine del secolo XV. prodotta da Guglielmo Catel nel Libro 4. delle sue Memorie di Linguadoca esistenti nella Libreria Casanattense. Se ne accennano le carte.



P. 


P. In Provenzale.

Paol. Lanfr. V. Paolo Lanfranchi da Pistoja (Pistoia).

Perdig. V. Perdigone.

Per metaf. Per metafora. 

Per Similit. Per similitudine. 

Pieruol. V. Pieruolo d' Alvernia, detto Peirols. 

Piet. Alvern. V. Pietro d' Alvernia. 

Piet. Barg. V. Pietro di Bargiacco. 

Piet. Bl. V. Pietro di Blai. 

Piet. Bosig. V. Pietro di Bosignacco.

Piet. Brem. V. Pietro Bremone. 

Piet. Carav. V. Pietro della Caravana.

Piet. Carbonell. Piermichele Carbonelli, nella sua Cronica di Spagna, stampata in Barzellona 1547. esistente nella Libreria Casanattense. Si cita a carte, e a colonnelli. 

Piet. Card. V. Pietro Cardinale. 

Piet. Cas. V. Pietro di Casale. 

Piet. Corb. Tes. 126. I. V. Pietro di Corbiacco. L' abbreviatura Tes, o T. indica il suo Tesoro nel Cod. Vatic. 3206., e il primo numero ne accenna le carte; il secondo il colonnello.

Piet. Corb. T. Lo stesso, che Piet. Corb. Tes.

Piet. Gugl. V. Pietro Guglielmo.

Piet. Maens. V. Pietro di Maensacco. 

Piet. M. Carbonell. Lo stesso, che Piet. Carbonell. 

Piet. Migl. V. Pietro Miglione. 

Piet. Pell. V. Pietro Pellicciere.

Piet. Pogg. V. Pietro del Poggio.

Piet. Raim. V. Pietro Raimondo.

Piet. Rov. V. Pietro della Rovere.

Piet. Ruggier. V. Pietro Ruggiero.

Piet. III. R. Arag. Cron. Pietro III. Re d' Aragona, e Conte di Barzellona, nella sua Cronica intitolata dal medesimo Re: Libre en que s' contenen tots los grans fets qui son entrevenguts en nostra Casa dins lo temps de la nostra vida, començantlos a nostra nativitat: cioè, Libro in cui si contengono tutti i gran fatti, che sono intervenuti in nostra Casa nel tempo di nostra vita, cominciandoli insino dalla nostra natività. Data alla luce da Piermichele Carbonelli, insieme colla Cronica di Spagna di esso Carbonello, in Barzellona 1547., esistente nella Biblioteca Casanattense. Si cita a libri, e capitoli. 

Piet. III. R. Arag. Edit. Detto Re, nel suo Editto in data de' 15. delle calendi di Novembre 1344., contenente la pubblicazione delle Leggi, ed Ordinazioni, che fece pel buon governo, e reggimento di tutti gli ofiziali, e ministri della sua Corte. Inserito, ed illustrato da' Bollandisti in fronte del Tom. 3. del Mese di Giugno.

Piet. III. R. Arag. L. Propost. Detto in una sua Lettera scritta al Proposto di Terracona in data di 8. Marzo 1386. Apро la detta Cronica di Piermichele Carbonelli a cart. 203.

Piet. III. R. Arag. Proposiz. Il suddetto nelle sue proposizioni fatte nelle 

Assemblee generali de' suoi Stati, e Regni di Aragona, Valenza, e Catalogna. Pure appresso la sopraddetta Cronica del Carbonello a car. 98. 251., e 254. 

(N. E. Pere terç como conde de Barcelona, Pedro IV de Aragón, el Ceremonioso)

Piet. Tom. Pietro Tomic Cavaliere Catalano natio di Bagàno (Bagà, Terra nella Diocesi d' Urgelli). La sua Cronica del Regno d' Aragona, e Principato di Catalogna. Codice antico MS. della Libreria del Signor Abate Anton Maria Salvini, intitolato: Istories, e conquestes del Reyalme d' Aragò, e Principat de Catalunya, compilades per lo honorable Mossen Pere Thomich Cavaller, las quals tramès al Reverent Archabisbe de Zaragoça. L' Autore però l' intitola: Memorial de algunes istories de fets antics (Memoriale di alcune istorie di fatti antichi) e la finì di scrivere, o compilare nel 1438., come si legge sul principio nella lettera dedicatoria all' Arcivescovo di Zaragozza. Si cita a capitoli. Questo Codice è illustrato con molte note, e postille marginali dal predetto Sig. Abate Salvini, le quali note si citano coll' abbreviatura Ant. Mar. Salvin. Postill. come abbiamo registrato, e spiegato di sopra alla Lettera A.

Piet. Tom. Istor. Lo stesso, che Piet. Tom.

Piet. Vid. V. Pietro Vidale.

Piet. Uz. V. Pietro d' Uzez.

Pist. V. Pistoletta Gentiluomo di Corte del Conte di Poetù.

Poet. Incert. A. R. Un Poeta incerto, in un Poema fatto verso la metà del secolo XIII., contenente, come Sibilla figliuola di Giuffredo Rinforzato Signor di Tolone, fu diliberata, per intercessione di Sant' Onorato, da una calunnia, che l' era stata imposta. Presso la Storia della Città di Marsiglia del Consigliere Antonio Ruffi, a cart. 76. ediz. 1642., e in quella del 1696. accresciuta da Luigi Antonio Ruffi suo figliuolo, a cart. 487. tom. I. esistente nella Libreria Casanattense.

Poet. Incert. G. C. Altro Poeta Provenzal incerto, riferito da Guglielmo Catelli nella sua Istoria de i Conti di Tolosa fogl. 104.

Ponz. Barb. V. Ponzio Barba.

Ponz. Cap. V. Ponzio di Capodoglio.

Portogh. In Portoghese, in Lingua Portoghese.



R.


Raim. Avig. V. Raimondo d' Avignone. 

Raim. Durof. V. Raimondo di Duroforte.

Raim. Giord. V. Raimondo Giordano.

Raim. Lul. V. Raimondo Lullio. 

Raim. Mirav. V. Raimondo di Miravalle.

Raim. Mont. Raimondo Montaner, nella sua Cronica stampata in Barzellona, della quale ve n' è un esemplare nella Libreria Casanattense, e un altro in quella della Sapienza di Roma. E in un suo Componimento Poetico inserito in essa Cronica, di che vedi l' antecedente Tavola. Si cita a carte, e talora a capitoli. 

Raim. Rogg. Diplom. Raimondo Roggieri Conte di Belforte, e Visconte di Turena, in un suo Diploma prodotto da Cristoforo Juftel, già Segretario della Corona di Francia, nella sua Storia, e Genealogia della Casa di Turena, stampata in Parigi l' anno 1645., esistente nella Libreria Casanattense.

Raim. Rogg. Test. Il Testamento del detto Visconte di Turena Ramondo Roggieri fatto nell' anno 1399., riportato dal soprammentovato Cristoforo Juftel nella citata Istoria, e Genealogia della Casa di Turena. Raim. Sal. V. Raimondo di Sala. 

Raim. Torr. V. Raimondo della Torre.

Raim. Vid. Art. Poes. P. Raimondo Vidale nella sua Arte della Poesia Provenzale; o vero nel suo Libro, che incomincia: Per çò qar eu Raimonz Vidals ai vist, e conogut, que pauc d' omes sabon, ni an saubuda la dreita maniera de trobar, voill eu far aqest Libre per far conoisser, e saber, qals dels Trobadors an mielz trobat, e mielz ensenhat ad aqelz qe volran apenre ec. cioè: Conciossiacosa adunque, ch' io Ramondo Vidale abbia visto, e conosciuto, che pochi degli uomini sanno, nè anno saputa la diritta maniera di trovare, o poetare, voglio 

io comporre questo Libro, per far conoscere, e savere quali, e chenti de' Trovatori, o Poeti abbiano meglio poetato, e meglio insegnato a quelli, che vorranno apparare ec. MS. della Real Libreria Laurenziana al Pluteo 41. nel Codice in foglio delle Rime Provenzali.

Ramb. Bel. V. Rambaldo di Beliocco. 

Ramb. Or. V. Rambaldo d' Oranges.

Ramb. Vach. V. Rambaldo di Vachera.

R. Arn. Testim. Una testimonianza, che fece un monaco appellato Fra 

Ramondo Arnaldo di San Martino, nel 1280., appartenente a' confini, e limiti del Viscontado di Bearne. Appo l' Arcivescovo Pietro della Marca nella sua Istoria di Bearne fogl. 535. stamp. Parigi 1640.

R. B. B. Ragioni, o vero Argomenti de' Serventesi di Beltrando del Bornio. Stanno queste ragioni nel Cod. Vat. 3204., e se ne citano le carte. 

R. B. F. Ragione d' un Serventese del figlio del suddetto Bertrando del Bornio, nel medesimo Codice 3204. 

R. C. Ragioni, o Argomenti di alcune Cobbole, e Rime nel Cod. Vat. 3207. Se ne citano le carte.

Recul. V. Reculaire.

Relaz. Coron. R. Arag. Mart. Relazione dell' Incoronazione del Re d' Aragona Don Martino, e della Regina Donna Maria, fatta in Zaragoza nell' anno 1399. Presso la Cronica di Piermichele Carbonello a c. 216. Il primo numero denota le carte, il secondo la colonna.

Ricc. Foss. V. Riccardo del Fossato.

Ricc. Nov. V. Riccardo di Noves.

Ricc. R. Ingh. V. Riccardo Re d' Inghilterra.

Rim. 5. Rime senza nome d' Autore del Cod. Vat. 3205. Il secondo numero denota le carte.

Rim. 6. Rime senza nome d' Autore sparse per entro il Cod. Vat. 3206. Se ne citano le carte.

Rim. 7. Rime senza nome d' Autore del Cod. Vat. 3207. Il secondo numero indica le carte.

Rim. 8. Rime senza nome di Autore del Cod. Vat. 3208. Se ne citano ancora le carte.

Rim. S. Lorenz. Rime Provenzali senza titolo, o nome di Autore. MS. della Libreria di S. Lorenzo di Firenze, al Pluteo 41.

Rimar. P. Rimario Provenzale colla chiosa Latina. Testo a penna nella suddetta Biblioteca Laurenziana, e nell' Opera di S. Maria del Fiore in Firenze.

Rinf. Folc. V. Rinforzato di Folcachiero.

R. R. I. Ragioni, o Argomenti de' Serventesi di Riccardo Re d' Inghilterra, e del Delfino d' Alvernia. Sono pure nel citato Cod. Vat. 3204., e col numero se ne accennano le carte.


S.


Salv. Mall. V. Salvarico di Malleone.

Serm. Sermone, sorta di Poesia.

Serventes., e Servent. Serventese, sorta di Poesia.

Sestin., e Sest. Sestina, spezie di Poesia.

Signif. Significato.

Sim. Dor. V. Simone Doria. 

Sord. Mant. V. Sordello Mantovano. 

S. Scol. V. Saglio di Scuola. 

Stat. Provenz. Gli antichi Statuti di Provenza. Stampati, esistenti nella  Biblioteca Casanattense. 

Strument. Turen. Uno Strumento del 1178., estratto dall' Archivio della 

Casa di Turena. Prodotto da Cristoforo Juftel nelle sue Pruove della 

Storia geneologica della suddetta Casa, impressa in Parigi 1645. 

Sust. Sustantivo. 


T.


Tenz. Tenzone, spezie di Poesia. 

Torcaf. V. Torcafolle. 

Tratt. Art. Ben. Mor. Trattato dell' Arte di ben morire. Testo a penna della Libreria Vaticana nel Codice 4801. Se ne segnano le carte. 

Tratt. Leg. Trattato di Lega offensiva, e difensiva concluso nel 1253. tra Arnaldo Guglielmo d' Agramonte, e Gastone di Moncada Visconte di Bearne. Rapportato dall' Arcivescovo Pietro della Marca nella sua Istoria di Bearne a cart. 599.

Tratt. Pecc. Mort. Trattato de' Peccati Mortali. MS. Vatic. Cod. 4799. e se ne dinotan le carte. Questo Trattato è forse lo stesso, che viene

citato dagli Accademici della Crusca, colle medesime abbreviature: Tratt. Pecc. Mort., dico lo stesso, cioè trasportato in Toscano da questo nostro Provenzale.

Tratt. Simb. Apost. Trattato del Simbolo degli Apostoli, detto Tractat dels Articles de la Sancta Fe Catholica. MS. Vatic. nel predetto Codice 4799. Il numero accenna le carte. 

Tratt. Virt. Trattato delle Virtù, e de i Doni dello Spirito Santo. MS. Vaticano nel suddetto Codice 4799. Se ne citan le carte. Il Trattato, tra gli altri di Maestro Fra Domenico Cavalca dell' Ordine de' Predicatori, intitolato di Vizi, e Virtù, citato dal Vocabolario della Crusca, fu da esso Cavalca tradotto dal Provenzale, come avvertirono i Deputati del 73. nelle loro Annotazioni a cart. 6. in questa guisa. “Ma per tornare al nostro Ragionate, che vale chente, e quale sia la ragione, che è in noi, quando siamo insieme il Maestro Domenico Cavalca, che fu nell' età di Dante, e tradusse tra gli altri un Libretto di vizi, e virtù dal Provenzale, si legge: Che si dee andare al savio, e ragionato Confessore.” E il Provenzale credo, che sia questo medesimo da me allegato, imperocchè mi pare aver letto in esso, ques' deu anar, al savi, e rahonat Confessor; nel quale si tratta pure di Vizi. 

Trovator. Tolos. V. I sette Trovatori di Tolosa.

Trucc. Mal. V. Trucco Malecco.


V.


V. Vedi.

V. A. Voce antica.

Vesc. Alvern. V. Il Vescovo d' Alvernia.

Vesc. Chiarm. V. Il Vescovo di Chiarmonte.

Ug. Bacal. V. Ugo della Bacalaria. 

Ug. Brun. V. Ugo Brunetto. 

Ug. Matap. V. Ugo di Mataplana. 

Ug. Pen. V. Ugo di Pena. 

Ug. S. Sir. V. Ugo di San Siro. 

Vinc. Garz. Il Dottor Vincenzio Garzia nelle sue Rime stampate in Barzellona dal Figuerò. Se ne citano le carte. 

Vit. Alb. Cail. 175. Vita di Alberto Cailla. MS. Vatic. nel Cod. 3204. a car. 175.


Notisi, che quando in queste abbreviature delle Vite de' Poeti Provenzali della Libreria Vaticana non s' accenna il Codice, s' intende sempre il Codice 3204.

Vit. Alb. Pogg. 64. Vita di Alberto di Poggibotto, nel suddetto Cod. a cart. 64.

Vit. Am. Belved. MS. S. L. Vita di Amerigo di Belvedere del Testo della Real Libreria di S. Lorenzo di Firenze al Banco 41. 

Vit. Am. Ping. 37. Vita d' Amerigo di Pingulano, nel predetto Cod. Vatic. 3204. a cart. 37.

Vit. Ans. Faid. 21. Vita di Anselmo Faidit nel citato Cod. a cart. 21. 

Vit. Arn. Marav. 33. Vita di Arnaldo di Maraviglia a cart. 33. del citato Codice.

Vit. Bartol. Giorg. 82. Vita di Bartolommeo Giorgio a cart. 82. del suddetto Cod. 

Vit. Berlingh. Pal. 126. Vita di Berlinghieri di Palazzuolo a cart. 126. ec.

Vit. Bern. Vent. 15. Vita di Bernardo di Ventadorno a cart. 15. Codice citato. L' Autore di questa Vita è Ugo di S. Siro Poeta Provenzale anche egli, come è stato avvertito nell' antecedente Tavola.

Vit. Cercam. 119. Vita di Cercamondo a cart. 119. ec.

Vit. El. Barg. 116. Vita di Elia di Bargiuolo a cart. 116 Cod. citat.

Vit. El. Car. C. V. 7. 52. Vita di Elia Carello nel Cod. Vat. 3207. a c. 52.

Vit. Folc. Marsig. 46. Vita di Folchetto da Marsiglia, nel Cod. Vat. 3204. a cart. 46.

Vit. Folc. Rom. 175. Vita di Folchetto di Romano nel suddetto Cod. 3204. a 175.

Vit. Girald. Bornel. 4. Vita di Giraldo Bornello a cart. 4. Cod. citat.

Vit. Gugl. Bal. C. V. 7. 18. Vita di Guglielmo di Balaone del Cod. Vatic. 3207. a cart. 18.

Vit. Gugl. Berg. 178. Vita di Guglielmo di Bergadano, nel Cod. 3204. a cart. 178.

Vit. Gugl. Cabest. 89. Vita di Guglielmo di Cabestano, a c. 89. del Cod. 3204. suddetto.

Vit. Gugl. Cabest. 7. 21. Vita simile nel Cod. Vat. 3207. a car. 21.

Vit. Gugl. Cabest. MS. S. Lorenz. Un' altra Vita del suddetto Guglielmo nella Libreria di S. Lorenzo di Firenze al Pluteo 41.

Vit. Gugl. Fig. 94. Vita di Guglielmo Figuiera a cart. 94. del Codice Vaticano 3204.

Vit. Gugl. Rann. 129. Vita di Guglielmo Rannuolo a cart. 129.

Vit. Gugl. S. Desid. 62. Vita di Guglielmo di S. Desiderio a cart. 62.

Vit. Gugl. Torr. 117. Vita di Guglielmo della Torre a cart. 117.

Vit. Guid. Uz. 73. Vita di Guido d' Uzez. a cart. 73. 

Vit. Lomb. C. V. 7. 43. Vita di Donna Lombarda Gentildonna Tolosana, nel Cod. Vat. 3207. a cart. 43.

Vit. Mar. Vent. C. V. 7. 53. Vita di Maria di Ventadorno, nel detto Codice 3207. a cart. 53. 

Vit. Mon. Montau. 120. Vita del Monaco di Montaudone, nel Cod. Vatic. 3204. a cart. 120. 

Vit. Ogg. 175. Vita di Oggiero a c. 175. 

Vit. Perdig. 36. Vita di Perdigone a cart. 36.

Vit. Pieruol. 42. Vita di Pieruolo a cart. 42.

Vit. Piet. Alvern. I. Vita di Pietro d' Alvernia a cart. I.

Vit. Piet. Card. 149. Vita di Pietro Cardinale a cart. 149.

Vit. Piet. Gugl. 95. Vita di Pietro Guglielmo a cart. 95.

Vit. Piet. Pell. C. V. 7. 47. Vita di Pietro Pellicciere, nel Cod. Vat. 3207.  a cart. 47.

Vit. Piet. Raim. 68. Vita di Pietro Raimondo nel Cod. 3204. a cart. 68.

Vit. Piet. Rugg. 2. Vita di Pietro Ruggiero a cart. 2.

Vit. Piet. Vid. 27. Vita di Pietro Vidale a cart. 27. del Cod. 3204.

Vit. Piet. Vid. C. V. 7. 22. Vita simile nel Cod. 3207. a cart. 22. 

Vit. Pist. 123. Vita di Pistoletta a cart. 123. Cod. 3204.

Vit. Raim. Giord. 65. Vita di Raimondo Giordano Visconte di S. Antonino a cart. 65.

Vit. Raim. Mirav. 52. Vita di Ramondo di Miravalle a cart. 52. del Codice 3204.

Vit. Raim. Mirav. C. V. 7. Vita simile nel Cod. 3207.

Vit. Ram. Vach. 60. Vita di Rambaldo di Vachera a cart. 60.

Vit. Salv. Mall. 138. Vita di Salvarico di Malleone a cart. 138.

Vit. Sord. Mant. 109. Vita di Sordello Mantovano a cart. 109.

Vit. S. Scol. 93. Vita di Saglio di Scuola a cart. 93.

Vit. Ug. Brun. 86. Vita di Ugo Brunetto a cart. 86.

Vit. Ug. Pen. 126. Vita di Ugo di Pena a cart. 126.

Vit. Ug. S. Sir. 113. Vita di Ugo di S. Siro a cart. 113.

Usag. Barz. Usaggi di Barzellona. Copia a penna di Don Antonio Bastero.


Le Abbreviature degli Scrittori Italiani citati per entro l' Opera,  avvegnachè sieno ben cognite a' letterati, e si ritrovino per lo più dichiarate in fronte del Vocabolario della Crusca; contuttociò per comodo degli oltramontani ne spiegheremo quì brievemente le seguenti. 


Accaris., o Accarisio. Alberto Accarisio nel suo Vocabolario. 

Alun., o Alunno. Francesco Alunno da Ferrara nelle sue Opere sopra la Lingua Italiana. 

Aless. Tass. Consid. Petr. Alessandro Tassoni nelle sue Considerazioni sopra le Rime del Petrarca. 

Bemb. Pr. Il Cardinal Pietro Bembo nelle Prose, dove tratta della Lingua Fiorentina.

Benven. Imol. Comento sopra Dante, di Benvenuto da Imola.

Bocc. Nov. ec. Messer Giovanni Boccacci nelle sue Novelle, o vero nel Decamerone.

Borgh., o Borghini. Monsignor Vincenzio Borghini nella sua Dichiarazione di alcune voci delle Cento Novelle antiche.

But. Comento di Messer Francesco da Buti, sopra il Poema di Dante.

Com. Dan. ec. Comento sopra il detto Poema di Dante, da alcuni chiamato l' Ottimo.

Crescimb. Coment. Istor. Volg. Poes. L' Arciprete Gio. Mario Crescimbeni ne' suoi Comentari della sua Storia della Volgar Poesia.

Dan. ec. Dante Alighieri nella sua divina Commedia.

Deput. 73. Annotazioni sopra il Decamerone di M. G. Boccacci fatte da' Deputati sopra la correzione di quell' opera l' anno 1573.

Franc. Barb. Messer Francesco da Barberino ne' suoi Documenti.

Gio. Vill., e G. V. Storia di Giovanni Villani.

Leon. All. Racc. P. Ant. Monsignor Leone Allacci nella sua Raccolta di Poeti Antichi.

Menag., o Menagio Orig. Ling. Ital. Egidio Menagio nelle sue Origini della Lingua Italiana.

N. Ant. Cento Novelle antiche.

Pergam., o Pergamini. Giacomo Pergamini nel suo Memoriale della Lingua Italiana.

Petr. ec. Messer Francesco Petrarca. Le sue Rime.

Poet. Ant. Raccolta di Poeti Antichi.

Red. Annot. Ditir. Francesco Redi nelle Annotazioni al Ditirambo.   

Rim. Ant. Rime antiche di diversi Autori.

Ruscell., o Ruscelli Girolamo Ruscelli nelle sue Opere.

Varch. Ercol. Messer Benedetto Varchi nel Dialogo intitolato l' Ercolano.

Ubald. Tav. Docum. Barber. Il Conte Federigo Ubaldini nella sua Tavola sopra i Documenti d' Amore di Messer Francesco da Barberino.

Preliminari